Repubblica 16.9.17
Una sola pensione la riforma credibile
di Sergio Rizzo
NON
è passato giorno in parlamento senza che la faccenda dei vitalizi abbia
alimentato onorevoli colluttazioni. In un crescendo sgradevole fino
alla scadenza fatidica del 16 settembre.
MARTEDÌ il colpo di freno
della maggioranza alla legge Richetti per tagliare gli assegni già in
essere, all’ombra di una presunta incostituzionalità. E
l’inqualificabile gesto dei due proiettili recapitati al deputato di
Rivoluzione cristiana Gianfranco Rotondi, fermamente contrario al taglio
dei vitalizi. Mercoledì la sconcertante vicenda del democratico
Vincenzo Cuomo eletto sindaco di Portici ma rimasto abbarbicato al
seggio del senato fino al giorno fissato per la maturazione del
vitalizio: oggi 16 settembre, appunto. E ieri la durissima reazione dei
parlamentari 5 stelle, con il provocatorio annuncio di voler rinunciare
al privilegio.
Nella poco edificante piega che ha preso la
battaglia politica in questo Paese i vitalizi vengono utilizzati come
clava da uno schieramento contro l’altro, e anche all’interno del
medesimo partito da una corrente contro l’altra. In una contesa che
finisce per opporre, dietro il velo ipocrita di motivazioni tecniche
oppure morali, la strenua difesa di assurde prerogative non più
tollerabili alla demagogia fine a se stessa.
A questo non saremmo
mai arrivati se la classe politica avesse affrontato per tempo e con
serietà una questione ineludibile da molti anni. Il fatto è che
l’istituto del vitalizio è andato perdendo via via le caratteristiche di
baluardo a difesa dell’autonomia degli eletti che ne avevano ispirato
l‘introduzione nel 1954, trasformandosi progressivamente in un
privilegio pensionistico sempre più incomprensibile anche alla luce
delle condizioni della maggioranza dei pensionati italiani. Anziché
prenderne atto e agire di conseguenza, i partiti hanno pensato soltanto a
tutelare quanto più possibile lo status quo. E quando sono stati
costretti a intervenire l’hanno fatto tardi e male.
La risposta
all’ondata di indignazione già levatasi da un decennio è stata la
decisione di ricondurre il regime dei vitalizi, a partire dal 2012,
nell’alveo dei trattamenti previdenziali contributivi. Però con
significative differenze rispetto a quelli in vigore per i comuni
cittadini. Basti dire che un ex parlamentare oggi a 65 anni di età può
andare in pensione con soli cinque anni di contributi versati. Sarà pure
contributivo, ma è indiscutibilmente un privilegio, che si somma ad
altri privilegi ancora più sostanziosi mai sfiorati.
Nessuno, per
fare un esempio, ha mai pensato di mettere in discussione la
cumulabilità degli assegni. Con la conseguenza che chi ha avuto la
fortuna di avere più vite politiche porta a casa altrettanti vitalizi.
Sono circa 300 gli ex onorevoli che cumulano il vitalizio parlamentare
con quello regionale, superando di slancio in qualche caso gli 11 mila
euro netti al mese. Non bastasse, ai trattamenti corrisposti dalle
Camere e dalle Regioni gli ex parlamentari possono sommare anche la
pensione, in moltissimi casi pagata da noi con i cosiddetti contributi
figurativi.
Chi viene eletto ha diritto a vedersi accreditare
gratis per tutta la durata del mandato la fetta più grossa dei
contributi previdenziali relativi all’attività lavorativa che ha
sospeso. Uscendo dal parlamento avrà in questo modo diritto, oltre al
vitalizio, anche alla sua pensione ma pagata quasi tutta dalla
collettività. Un tempo l’intera contribuzione era a carico della
previdenza pubblica, finché nel 1999 qualcuno tentò di cambiare le cose
obbligando gli onorevoli che intendevano maturare la pensione a versarsi
i contributi, pari di regola al 33% della retribuzione prevista. Ma
passò alla chetichella un emendamento che limitava l’obbligo alla sola
quota di competenza del dipendente. Da allora la pensione si porta a
casa pagando l’8% di tasca propria mentre il restante 25% è sempre a
carico dell’Inps o degli altri enti. Ci sono attualmente 2.117 ex
onorevoli che cumulano uno o più vitalizi alla pensione, 1.323 dei quali
l’hanno maturata proprio con i contributi figurativi.
La
conclusione è che l’unica riforma sensata, condivisa anche dal
presidente dell’Inps Tito Boeri, è quella mai presa in considerazione
per ragioni intuibili. Addirittura elementare: trattare il mandato
elettivo alla stregua di un normale periodo della vita lavorativa,
convogliando i contributi relativi in un’unica posizione
previdenzialeper spazzare così via cumuli e pagamenti figurativi. Al
raggiungimento dell’età l’ex parlamentare avrebbe in questo modo una
pensione contributiva dignitosa. Però una sola, come ogni comune
mortale, invece di tre o quattro. Di cui qualcuna addirittura regalata.
Quanto
al passato, anche qui se solo i politici l’avessero voluto sarebbe
stato possibile intervenire da tempo per mettere fine a certi scandali
legalizzati senza fare una legge che rischia di non produrre nulla
sbattendo contro la censura costituzionale. I modi sono tanti. L’ha
spiegato bene su queste colonne Michele Ainis: purtroppo però, temiamo,
un’altra voce nel deserto.