venerdì 15 settembre 2017

Repubblica 15.9.17
Tre scelte di sinistra per ritrovare un’identità
di Massimo Giannini

APPROVARE la legge sullo Ius soli è un atto di civiltà. Rinviarla è un atto di viltà. Una resa allo “spirito dei tempi”, che vede in ogni diversità una minaccia e che la politica cinica cavalca, invece di addomesticare. «Cosa dovrebbero fare gli onorevoli scettici? Procedere nonostante i dubbi ascrivibili all’incirca a metà della popolazione?», si chiedono tronfi i giornali della destra, brindando con un calice di veleno alla ritrovata “egemonia culturale”. Quella che mescola dolorosamente il riconoscimento del diritto di cittadinanza con il “cedimento all’invasione dei barbari”. Quella che invoca l’abolizione di tutti i permessi umanitari «per liberarci dagli stupratori».
In uno Stato di diritto, il Parlamento non è il luogo della pura e semplice ratifica, né dei voleri del governo né degli umori del popolo. La domanda cruciale, oggi, è se a prescindere “dall’aria che tira” nella pubblica opinione, questa maggioranza spuria e ormai esausta ha i numeri per far passare la legge oppure no. Se è credibile o meno la promessa di Gentiloni che dice «ci riproveremo dopo la manovra economica». Se si possono ricreare le «condizioni che oggi mancano » perché quelle norme possano passare prima della fine della legislatura, con o senza la fiducia.
Purtroppo il principio di realtà non lascia spazio alla speranza. Nonostante le esortazioni di Prodi, le osservazioni di Delrio o le pressioni di Bersani, la “narrazione” social-xenofoba di Salvini infiamma la piazza, e la “moderazione” tardo-dorotea di Alfano paralizza il palazzo. È il prezzo che si paga a un errore politico commesso da Renzi. Da segretario ha avuto il merito di trasformare lo Ius soli in un vessillo identitario per il Partito democratico, ma da premier non si è curato di siglare prima un accordo blindato con i centristi di Alternativa popolare (senza i quali non ci sono i voti al Senato). Oggi sembra troppo tardi, per rinsaldare un patto evidentemente mai sottoscritto. Renzi che “si rimette” alle scelte di Gentiloni è la conferma di un evidente interdetto che appare non superabile. Oggi e forse anche domani.
Eppure proprio in quel superamento sta la chiave che può riaprire le porte a una sinistra rinchiusa nella sua ridotta etica e politica. Può sembrare un paradosso, ma è esattamente questo che chiede lo stesso Minniti, ormai superministro degli Interni e degli Esteri, “gestore unico” delle strategie di contenimento del fenomeno migratorio in Italia e in Africa. La tratta di umani sulla rotta mediterranea si è parzialmente chiusa grazie a lui. Il capo dello Stato gli ha tributato il suo pieno sostegno. Persino Papa Francesco si è convinto a rideclinare qualche passo del Vangelo secondo il Codice Minniti. Ma il responsabile del Viminale è il primo a sapere quanto ancora sia fragile la tregua raggiunta a suon di milioni con i miliziani della Cirenaica e della Tripolitania, con i capi delle tribù locali, con gli schiavisti che gestiscono i lager, con la Guardia costiera corrotta.
Ed è anche il primo a sapere che per una sinistra di governo, capace di non smarrire se stessa limitandosi a far sue le parole d’ordine della destra, una risposta esclusivamente “securitaria” al dramma delle migrazioni non può bastare. Per ogni passo avanti compiuto sul terreno della sicurezza (raggiunta anche a costo di chiudere un occhio di fronte alla violazione dei diritti umani patita dai profughi respinti sulle coste o in transito nei centri di detenzione libici) ne occorre un altro sul terreno della solidarietà. Lungo il sentiero stretto che ci separa dallo scioglimento delle Camere del 2018, Minniti dovrebbe compierne più di uno, di passi del genere.
Non c’è alcuna certezza che la rischiosa scommessa tentata dal governo si possa vincere, senza l’aiuto di un’Europa che non se la può certo cavare ringraziando l’Italia per avergli salvato l’onore e di una Germania che dopo il voto del 24 settembre si decida finalmente ad aprire il “cantiere” della riforma del Trattato di Dublino. Né si può tollerare che quella scommessa, giocata allo stesso tavolo con i trafficanti di morte libici ai quali ora si chiede di riconvertirsi in tutori della legalità, possa prescindere da un intervento sul territorio delle Nazioni Unite e dell’Unhcr, come garanti di fatto di una Convenzione di Ginevra che la Libia non ha mai firmato.
Ma Minniti è consapevole che quella scommessa può diventare politicamente e moralmente accettabile solo a patto che, una volta limitati gli sbarchi, entro la fine dell’anno si compiano tre scelte fondamentali: l’apertura dei corridoi umanitari, il ripristino di un controllo legale dei flussi. E poi la legge sullo Ius soli, che dovrebbe completare questo pacchetto di norme per garantire l’integrazione, al di là della repressione. Ma per compiere questo percorso servirebbe una sinistra all’altezza della sua Storia. Capace di parlare il suo linguaggio. Di spiegare al Paese che non c’è nessuna “invasione” e nessun “nemico alle porte”. Di rassicurare gli italiani, dimostrando loro che una grande e moderna democrazia come la nostra ha tutti gli strumenti culturali e materiali per gestire in modo ordinato il fenomeno migratorio (come fece Merkel un anno fa, quando accolse un milione di siriani dicendo al popolo tedesco «ce la facciamo »). E poi servirebbe anche un centro all’altezza del suo passato. Capace di sfuggire alla “paura della paura”, come fa oggi un piccolo democristiano come Alfano. E di far sue le parole di un grande democristiano come Moro: non abbiate paura di avere coraggio.