il manifesto 15.9.17
Tutte le frecce nell’arco del Consultellum
di Massimo Villone
Un
fantasma si aggira nel Palazzo: la legge elettorale. Con la decisione
adottata dai capigruppo della Camera – in Aula a fine settembre se
saranno conclusi i lavori in Commissione – la legge elettorale esce
dagli scenari immediati della politica.
Il tempo è il maggior
nemico di una – buona – legge elettorale. In realtà, il copione in cui
si va alle urne con i Consultellum Camera e Senato, salvo limature
tecniche, è non da ora tra quelli pronti ad andare in scena. Vediamolo,
in tre punti.
Il primo. Il mantra della governabilità è letto da
qualcuno nel senso che il bicameralismo paritario imporrebbe una stessa
maggioranza nelle due camere, da garantire con il sistema elettorale. Ma
nel bicameralismo la possibilità di maggioranze diverse è genetica e
ineliminabile. Soprattutto se il sistema politico è multipolare – come
il nostro – e le camere non coincidono nella base territoriale e
nell’elettorato attivo e passivo – come impone la Costituzione. Due
sistemi elettorali identici possono comunque produrre maggioranze
diverse.
Il secondo. Piace a qualcuno l’idea che sistemi e
maggioranze diverse siano un’occasione? Probabilmente sì. Le alte soglie
del Consultellum Senato potrebbero cancellare senza colpo ferire una
sinistra autonoma a sinistra del Pd. Questo piacerebbe certo al Pd, che
vedrebbe esaltato l’argomento del voto utile potendo declinare qualsiasi
responsabilità. Per questo l’unità a sinistra del Pd può
paradossalmente incentivare una ipocrita inerzia: con soglie alte è più
facile sbarrarle il passo. E se alla fine le maggioranze fossero diverse
tra Camera e Senato, ci sarebbe un solido argomento per una grande
coalizione. Questo potrebbe piacere a pezzi consistenti del
centrosinistra e del centrodestra. E gli altri? Di necessità virtù, alti
lai e disciplina di gruppo e di partito. E gli elettori? Che importa,
se ne riparla tra cinque anni, e intanto si vede. Majora premunt. La
grande coalizione potrebbe essere un obiettivo consapevole se pure
occulto, che si favorisce con l’inerzia.
Il terzo punto. Chi fa
cosa? Mattarella non può andare oltre la moral suasion, già inutilmente
spesa, e che perde ancor più efficacia con l’avvicinarsi della fine
costituzionalmente insuperabile della legislatura. Si sente dire ora di
un nuovo assalto giudiziario. Un tentativo lodevole, ma del quale è
arduo prevedere un esito positivo. Comporta infatti che sia la Corte
costituzionale a omogeneizzare i sistemi elettorali delle due Camere. Il
punto è che se la Corte avesse assunto l’omogeneità come dato
costituzionalmente insuperabile, avrebbe già potuto – e forse dovuto –
intervenire, orientando la sent. 35/2017, o dichiarando parziali
illegittimità in via conseguenziale, o magari sollevando in via
incidentale la questione davanti a sé stessa. Non l’ha fatto perché non
ha inteso farlo. E se non ha scelto la via dell’omogeneità prima, è
assai improbabile che la scelga dopo, riducendo l’ampia discrezionalità
che ha riservato nelle sue pronunce (1/2014 e 35/2017) al legislatore, e
per di più nell’imminenza del voto. È pensabile che a campagna
elettorale avviata la Corte scriva in dettaglio premi di maggioranza e
soglie, che di fatto decidono chi va a Palazzo Chigi e in Parlamento,
essendosene finora tenuta accuratamente lontana?
La battaglia per
la legge elettorale è inevitabilmente politica, e si combatte in due
modi. Il primo, chiedendo in ogni sede e momento una legge che
garantisca la più ampia rappresentatività e il voto libero e uguale. Il
che si ottiene solo con un impianto proporzionale ed eletti scelti da
chi vota, per un parlamento che esprima il paese e non sia prono a
oligarchie dominanti e poteri forti. È un compito che non si risolve
nell’attesa di interventi salvifici. Il secondo modo, a sinistra, con
una unità che dia forza sufficiente a entrare nelle assemblee elettive
con qualunque legge, fosse anche il Consultellum.
Difficile?
Certo. Impossibile? No. Ovviamente, bisogna passare dal calcolo degli
interessi personali e di gruppo a una strategia di ampio respiro su
progetto politico e leadership, ricordando che il rischio di una
subalternità al Pd è sempre dietro l‘angolo. Ce lo ricorda
implicitamente il ministro Orlando in un’intervista a La Stampa, per cui
Bersani e D’Alema si stanno trasformando in gruppettari. È la battuta
dell’anno. Nel Pd si divertono così.