Repubblica 14.9.17
Ankara.
Turchia, basta con Chopin ai funerali Il ministero impone i versi del Corano
La
“Marcia funebre” considerata troppo occidentale e non adatta a onorare i
martiri caduti in battaglia. I laici accusano: è un ulteriore passo
verso l’islamizzazione
di Marco Ansaldo
ISTANBUL.
I turchi vanno pazzi per marce, inni, canti patriottici all’ombra della
loro bella bandiera rossa con la mezzaluna e la stella. Lo sapeva bene
Mozart dedicandogli, in piena epoca ottomana, quella musica rimastagli
addosso come un marchio indelebile che è
La marcia turca.
Ma
se Wolfgang Amadeus resta nel cuore degli eredi dell’Impero e nei
jingle che li accompagnano mentre fanno spesa al centro commerciale,
l’amore per i classici ora non tocca più Chopin. Basta
Marcia funebre
durante
le cerimonie in memoria dei soldati morti in battaglia. Addio alle note
cadenzate del Grande polacco. Al loro posto, dal prossimo caduto, ci
sarà la composizione di un celebre musicista ottomano suonata tra i
versi del Corano.
Cambia l’approccio, in questa Turchia, anche
sulla musica. E quella di Frédéric Chopin è adesso considerata come
troppo occidentale per accompagnare i “martiri” caduti in battaglia,
troppo straniera perché il suo ritmo forzato risuoni nell’ora in cui le
bare coperte dal vessillo sono portate alla sepoltura. Il momento
religioso dei funerali, in un Paese musulmano al 99 per cento, deve
seguire i dettami della fede corrente, e non essere toccato da note
giunte da altri mondi.
La decisione arriva dal ministero degli
Interni di Ankara, competente sui militari per quanto riguarda i
funerali, ed è stata presa alla fine di un lungo dibattito, anche
pubblico. La discussione partì nel 2016, quando ai funerali di un
giovane soldato morto nei pressi della città curda i Yuksekova la banda
venne messa a tacere da un gruppo di amici del defunto che preferivano
canti e versi sacri al posto di una rappresentazione musicale straniera.
Accantonato
Chopin, è così iniziata la disputa su quale tipo di musica fosse la più
consona alle cerimonie. I nazionalisti prediligevano canti patriottici,
ben vicini a raffigurare quel tremendo tributo di sangue che è tuttora,
nel sud est dell’Anatolia, la guerra fra l’esercito turco e i
guerriglieri curdi. Di altro avviso i fautori del credo islamico,
inclini a suoni più mediati ed eterei. La scelta finale è stata un
compromesso, e i diversi enti e personalità intervenute, fra cui il Gran
Mufti e il Direttore degli Affari religiosi, hanno optato per una
composizione che coniugasse entrambe le esigenze: un canto di Mustafa
Itri, musicista e poeta ottomano di fine Seicento, e il Segah Tekbir,
musica di origine sufi. Il ministero ora mostra di non avere dubbi. La
nuova cerimonia, che verrà applicata pure ai funerali di tutti i
dipendenti, è «conforme all’etica dei martiri e al loro posto nel cuore
della nostra nazione». Non solo, ma contribuisce a recuperare «le radici
della nostra civiltà». La modifica appare del tutto in linea con la
recente spinta del presidente Recep Tayyip Erdogan al recupero completo
delle tradizioni ottomane.
In Turchia la passione per le sette
note comincia già da piccoli, nelle scuole. Ogni mattina alle 8.30, in
ogni istituto di ordine e grado della Repubblica, docenti, personale non
insegnante e alunni sono tutti sull’attenti davanti alla bandiera e
alla statua di Ataturk, padre della Turchia moderna, a cantare l’inno
nazionale. E quante volte la tv inquadra, prima delle partite della
Nazionale, i giocatori con la mano sul cuore e il loro pubblico che
sventola con commozione il vessillo rosso.
Le polemiche, però,
sono già partite. I laici che compongono l’altra metà del Paese dicono
che con questo nuovo passo la Turchia prosegue il suo cammino verso
l’islamizzazione. Ora è Chopin a farne le spese, mentre il canto
ottomano seguito dalle parole del Corano diventa l’emblema del Paese che
cambia.
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