giovedì 14 settembre 2017

Repubblica 14.9.17
Dubbi di Pisapia su Mdp
Per il leader di Campo Progressista l’esecutivo di Paolo Gentiloni non può essere oggetto di “fuoco amico” da parte della sinistra
“Bersani non può dire no a un patto con il Pd”
L’ex sindaco di Milano contrario alla linea del leader scissionista: “Il centrosinistra senza i dem non si può fare”
di Giovanna Casadio Goffredo De Marchis

ROMA. «Il centrosinistra senza il Pd non si può fare, né si può dire che il Pd sia uguale a Forza Italia». Il giorno dopo il conclave rosso, restano i dubbi di Giuliano Pisapia sul rapporto con Mdp. E a Pierluigi Bersani, leader dei demoprogressisti - che ha nelle mani il dossier sulle modifiche alla manovra economica, ha detto l’altro giorno che non si può tirare la corda fino a fare cadere Gentiloni. Modifiche importanti alla manovra sì. Battaglia per spuntarla anche, ma «non irresponsabilità ». Il rapporto con il governo è uno dei nodi irrisolti del matrimonio tra Mdp e Campo progressista. Il più delicato. L’altro è la prospettiva politica e di alleanze di una sinistra che si vuole alternativa ma di governo. «Le questioni cruciali sono ancora tutte aperte»: ha confidato Pisapia. E Bersani, che ha una grande influenza e una leadership naturale su Mdp, è l’interlocutore principale. Un po’ il parafulmine, su cui si scaricano i malumori sia di chi spera di rifare la “ditta” e vuole imbrigliare la leadership di Pisapia, sia di coloro che in Campo progressista si fidano della parola dell’ex segretario dem sullo stop al “fuoco amico” contro Giuliano. Fuoco amico che ieri sembra tornare quando Alfredo D’Attorre ricorda che in verità sarà l’Assemblea costituente a decidere il leader della nuova sinistra, mica è detto che debba essere Pisapia.
Bersani finisce di fatto nel mirino dei “suoi”. Uscendo dal conclave, mentre si stava ancora scrivendo il comunicato e pesando le parole, era stato lui a dichiarare ai cronisti: «Assolutamente sì, il leader è Giuliano». Dall’altro lato l’ex segretario dem si ritrova il pressing di Campo progressista. Che non ha apprezzato la battuta con cui, durante la riunione della riconciliazione, Bersani ha risposto a proposito del senso di responsabilità necessario sulla manovra. «Se proprio ci fosse la Troika alle porte, allora certo voteremmo una fiducia tecnica»: aveva risposto a Pisapia e a Tabacci che gli facevano notare l’importanza della fiducia al governo sulla legge di Bilancio. «Non si può dire semplicemente che il governo Gentiloni fa politiche di destra»: hanno rincarato loro. Insomma strada lunga per una amalgama, mentre la scadenza delle elezioni politiche si avvicina.
Sulla legge elettorale inoltre Pisapia punta a fare asse con la minoranza dem, insistendo per un premio di coalizione e governabilità. Sabato sarà con Andrea Orlando e Carlo Calenda all’assemblea pubblica al centro di via Alibert sul “nuovo centrosinistra”. Ieri Orlando ha incontrato Dario Franceschini, il ministro dei Beni culturali, grande elettore di Renzi alle primarie, che è sulla stessa lunghezza d’onda in fatto di legge elettorale che favorisca appunto le coalizioni. Legge elettorale la cui discussione nell’aula di Montecitorio è prevista entro questo mese. Sul premio di coalizione Bersani e Mdp invece appaiono freddi. Si rinnovano antichi dissapori. Tra gli orlandiani circola un retroscena sull’elezione del presidente della Repubblica nel 2015. «Bersani venne messo al corrente che c’era una apertura di Berlusconi sul nome di Anna Finocchiaro, lunga militanza dal Pci al Pd, ma ritenuta sopra le parti. Bersani la bocciò subito, affermando che preferiva un democristiano di sinistra a una comunista di destra», raccontano.