giovedì 14 settembre 2017

Repubblica 14.9.17
Il Cortile di Francesco
Massimo Cacciari è tra gli ospiti degli incontri di Assisi, al Cortile di Francesco da oggi al 17 settembre.
Parteciperanno tra gli altri: Christo, Umberto Galimberti, Oliviero Toscani, Romano Prodi, Carlo De Benedetti, Marco Minniti.
L’attualità della lezione del frate di Assisi: un cammino libero che non è mai fuga dal mondo
San Francesco in viaggio verso l’altro
di Massimo Cacciari

La sua cella era fratello corpo Nessuno spazio può trattenerlo
Ciò che muove questo andare è sempre la misericordia

Quale forma assume il viaggio di Francesco? Rispetto ai molteplici aspetti che ha assunto nella storia della nostra civiltà – dalla navigazione socratico-platonica verso la conoscenza di sé e l’idea dell’eterno e immutabile, al progredire della potenza della Tecnica che sempre s’immagina capace di aprirsi la strada; dalla conversione e ritorno al Padre, all’inabissarsi al Regno delle immagini sciolte da ogni contenuto di cui il Faust di Goethe vuole fare esperienza; dal viaggio di avventura, che è puro azzardo, negazione di ogni idea di fine, a numerosi altri che si potrebbero ricordare – è quello del pellegrino che sembra più assomigliarli, e cioè il viaggio di colui che per ager, oltrepassando ogni città, procede verso il luogo che lo chiama, inizio e meta del suo andare. Per lui il viaggio fa parte integrante della meta, il suo fine è l’esperienza che compie nell’andare. Ma fede nell’inizio e raggiungimento della meta gli sono donati. Per essere questo pellegrino Francesco ama troppo le città e i suoi demoni. Non conosce mete privilegiate. La stessa Terra Santa è un luogo dove praedicare Verbum, come ovunque e a chiunque. Predicare?
Mostrare piuttosto – e mostrarlo in ogni villaggio che si incontra; ognuno è buono per l’evento, come a Greccio. Nostalgia come dolore dell’andare, nostalgia de loinh, dal sapore anche cavalleresco- provenzale, nostalgia irrefrenabile di andare ovunque esista la possibilità di ascolto, dove vivano creature capaci di cum- laudare, di lodare con lui, insieme, donne, uomini, uccelli e fiori.
Andare per il mondo, andarci nudi, senza resistere al male, donando e per-donando – ecco l’unico imperativo – e andarci a piedi, così da predicare e parlare anche alla Madre più antica. “Andate carissimi” suona la sua costante esortazione, benedite chi vi perseguita e ringraziate chi vi ingiuria. Andate a due a due, poiché chi va da solo va col diavolo. Per andare occorre essere liberi; nessuna zavorra con sé. Anche il fissarsi in dimore, possedere una casa significa arrestarsi nel viaggio. Il viaggio di Francesco non è addomesticabile.
Quando passa per Bologna e sente che vi era stata edificata una casa per i frati comanda loro seccamente che vi escano in fretta e non vi abitino mai più – perfino gli ammalati fa uscire! Alla Porziuncola il popolo di Assisi compie la stessa opera di carità per i frati, ma Francesco si arrampica sul tetto, vuole che i frati vi salgano con lui per gettar giù insieme le lastre di cui quella casa era coperta, volendo distruggerla dalle fondamenta, e desiste dall’impresa solo allorché le guardie lo assicurano che essa era proprietà del Comune. Perfino la cella gli pare una dimora eccessiva. La sua cella era fratello corpo (il corpo è fratello in Francesco, nessuno “spiritualismo” nella sua mistica). Nessun claustrum può trattenerlo né frenarlo. La nostalgia dell’andare rivela una nostalgia di resurrezione. Eremi e celle “minime” nel fitto del bosco sono i luoghi dove ritemprarsi, il cubiculum della sua anima. Ma da lì sempre riprecipita a valle, nelle città e per le strade degli uomini. Sistole e diastole del suo straordinario pellegrinare. Teologicamente l’esperienza francescana del viaggio si sostiene sull’idea biblica di paroikia. Con paroikos, paroikein già la traduzione greca della Bibbia indica il confinante o l’abitare un paese senza esserne cittadino a tutti gli effetti. Paroikia è però quella dello stesso Israele: il “popolo eletto” deve considerare in questa luce la sua esistenza in terra, nella stessa Terra promessa. È Abramo che dice di sé: io sono
paroikos kai parepidemos, nessuna terra è veramente la mia, ovunque soggiorno sono solo di passaggio. Davide ribadisce questa idea: siamo tutti paroikoi al cospetto del Signore, i nostri giorni sulla terra sono un’ombra. Credere di possedere una terra è idolatria.
Il linguaggio neotestamentario assume questo significato del termine, rendendone ancora più violenta, direi, la paradossalità. Pur potendo nel secolo, nell’impero e nella pax augustea, godere di tutti i diritti di cittadinanza, i cristiani si ritengono in essa perfetti paroikoi e ad un tempo si proclamano concives sanctorum et domestici Dei ( Efesini 2,19). Una forma di paroikia quasi prossima all’esilio si combina qui, nella stessa figura, a una forma di cittadinanza tanto perfetta da presagire la stessa cittadinanza celeste, di cui dice Paolo in Filippesi 3,20. Il documento più drammatico di tale tensione è forse la Lettera a Diogneto.
Come si colloca alla luce di questa idea Francesco? È del tutto assente nella sua paroikia ogni accento di estraneità, di xeniteia nei confronti del mondo. In paroikia ciò che per lui vale è anzitutto il para, l’accanto. Egli passa sempre, ma il suo non è un passare-oltre, un oltrepassare, è sempre un farsi-accanto, un approssimarsi. Non è estraneo all’oikos, ma partecipa a tutti. Il cammino di Francesco è un correre verso l’altro. Ogni staticità nella relazione di prossimità viene travolta dalla gioia che dona questo volare all’altro, libero da ogni impedimento. Sono le formidabili immagini dantesche: corre Francesco – alla lotta col padre che lo vuol trattenere, corre Francesco dietro alla sua amata, Madonna Povertà, e dietro a lui corre Bernardo, e correndo gli parve esser tardo. Nessuna pesantezza, nessun spirito di gravità domina più in questa folle corsa. E guai a essere nebulosi quando la si danza!
Ciò che muove questo andare, la sua causa efficiente, è però misericordia. Termine esigentissimo, esente da ogni timbro sentimentale. Il samaritano vede l’uomo massacrato sulla strada e il suo cuore – così dice il termine dell’originale greco – va a pezzi. Il suo cuore viene ferito così come il corpo dell’altro. Una ferita che potrà essere guarita soltanto guarendo la ferita dell’altro. La meta di Francesco non è Santiago o Roma, è la cura di chi chiama, della ferita aperta. Tra tutti i viaggi il più dimenticato, poiché è quello che minaccia lo stesso cuore di chi accorre, è quello che rende più insicuri. Ma l’unico che può aiutarci a guarire dall’insaziabile amore per noi stessi.

È possibile partecipare prenotandosi sul sito www. cortiledifrancesco. it dove è pubblicato tutto il programma