Repubbblica 8.9.17
I parlamenti sono l’argine per l’inclusione sociale
Politiche e leggi dovrebbero coordinarsi allo scopo di contrastare le disparità
di Chiara Saraceno
IL
“RUOLO dei Parlamenti nel combattere le disuguaglianze e nel costruire
società inclusive” è uno dei tre temi che verranno affrontati al G7 dei
Parlamenti che si incontrerà oggi e domani tra Roma e Napoli. Gli altri
due sono i rapporti con i cittadini e l’ambiente. Pur senza
sopravvalutare la portata di incontri che hanno, nel migliore dei casi,
una valenza più simbolica che altro, è interessante che i rappresentanti
dei parlamenti dei paesi più sviluppati, inclusa l’Italia che li
ospita, si pongano un tema che fino a non molto tempo fa era considerato
fuori moda, oltre che troppo connotato come “di sinistra”.
Rimesso
con forza all’attenzione anche dagli ultimi rapporti Ocse, soprattutto a
seguito degli effetti asimmetrici della crisi, esso è entrato nel
dibattito e nell’agenda politica. Le disuguaglianze di reddito, infatti,
sono aumentate in quasi tutti i paesi e ancor più quelle nella
ricchezza, con l’Italia che si trova nel gruppo dei paesi con maggiore
disuguaglianza, benché sotto gli Stati Uniti e il Regno Unito, ma sopra
Francia e Germania. A complicare la questione, per l’Italia, sta il
fatto che il tasso di disuguaglianza è più alto nelle regioni più
povere, nel Mezzogiorno, a conferma che vi è un nesso, come sottolinea
anche l’Ocse, non solo tra disuguaglianza e povertà, ma anche tra
disuguaglianza e difficoltà nello sviluppo.
Le disuguaglianze non
riguardano, per altro, solo quelle nel reddito e nella ricchezza, ma la
divisione del lavoro e delle opportunità tra uomini e donne, le chances
di mobilità sociale, di sviluppo e valorizzazione del proprio capitale
umano e di partecipazione sociale, tra persone di diversa origine
sociale. Per non parlare delle disuguaglianze tra aree geografiche del
mondo che, insieme alle guerre e alle dittature, sono all’origine di
gran parte dei fenomeni migratori.
Se vi è consenso ormai
abbastanza diffuso che le disuguaglianze possano costituire un problema
per la tenuta e lo sviluppo di una società, il dissenso si sposta sulle
cause e anche sul tipo di disuguaglianze che sono percepite, appunto,
come problema e, di conseguenza, come oggetto di possibili policy. Gran
parte del successo dei populismi si basa sulla individuazione di un
particolare tipo di disuguaglianza, o di relazione tra diseguali, con
una dicotomizzazione netta tra “noi” e “loro”, che si tratti di
autoctoni delle fasce di popolazione più marginalizzate contro gli
immigrati, dei giovani contro i vecchi, dei “cittadini” contro i
“politici”, dei “poveri” contro “i ricchi”, dei paesi mediterranei
contro il nord Europa (e viceversa).
Queste dicotomizzazioni
aiutano a raccogliere consensi, ma non a effettuare analisi adeguate
della situazione, quindi a sviluppare quelle politiche integrate e di
largo raggio che sole possono contribuire a ridurre le disuguaglianze,
non solo ingiuste, ma inefficienti dal punto di vista dello sviluppo e
del ben-essere collettivo. Si tratta, necessariamente, di un mix di
politiche redistributive, che proteggano dagli effetti della
disuguaglianza, e di politiche pre-distributive, che intervengano sui
vincoli alla formazione e valorizzazione del capitale umano (fin da
bambini), che rimuovano gli ostacoli alla partecipazione, che
intervengano a impedire la formazione di rendite monopolistiche nel
mercato È qui che si definisce, a mio parere, il ruolo dei parlamenti,
se si pongono il compito del contrasto alle disuguaglianze. Proprio
perché sono l’arena in cui si confrontano interessi diversi, hanno,
avrebbero, un’opportunità unica di costruire un discorso pubblico e una
azione legislativa non polarizzate/polarizzanti, e neppure frammentate
per accontentare questo o quel gruppo, ma sistematiche e inclusive. Ove
il termine “inclusive” dovrebbe significare politiche, e leggi, che si
coordinano nell’obiettivo di contrastare le disuguaglianze, definendo
chiaramente interconnessioni, ma anche priorità e gradualità, al fine di
rafforzarsi reciprocamente, ma anche di non contraddirsi e creare nuove
forme di disuguaglianza — una eventualità ricorrente, ahimè, in molte
politiche italiane.
Questo compito di coordinamento delle
politiche e di monitoraggio delle conseguenze delle proprie decisioni
dovrebbe essere fatto proprio dai parlamenti anche in un’ottica
internazionale. Mi rendo conto che si tratta di un auspicio ingenuo,
specie in questo periodo dove tornano i nazionalismi e i muri. Ma è una
questione che non può essere elusa se si vogliono davvero contrastare le
disuguaglianze.