lunedì 25 settembre 2017

pagina99 22.9.2017 
 
Investimenti | Una anno fa la Ue stava per riconoscere a Pechino lo status di economia di mercato. Ma l’attivismo del governo in settori strategici, dall’acquisto di Kuka alla costruzione della ferrovia Belgrado-Budapest, ha fatto scattare l’allarme a Bruxelles. Che ha deciso di cambiare strategia
Capitali cinesi Juncker alza il muro
di Sabrina Carreras e Mariangela Pira

«A favore del libero scambio sì, ma non ingenui». Non era mai stato così chiaro il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker nel suo discorso sullo Stato dell’Unione. Come a dire: l’Europa deve difendere i propri interessi strategici, proprio per questo si propone un nuovo quadro normativo per il monitoraggio degli investimenti esteri. Un discorso «fatto a moglie perché sentisse suocera». Si parla genericamente di investitori stranieri, ma è alla Cina che ci si rivolge. L’Ue del resto dispone di uno dei regimi più aperti al mondo in materia di investimenti così, negli ultimi cinque anni, quelli cinesi non hanno fatto altro che crescere. L’opinione pubblica l’ha percepito solo recentemente, con l’acquisto dei più blasonati club di calcio: dall’Inter al Milan, fino all’Aston Villa. «Che Juncker abbia usato l’aggettivo “ingenuo” fa riflettere», spiega a pagina99 Alessia Amighini, responsabile del programma Asia dell’Ispi. «Lascia intendere che, in un quadro di libero mercato, le opportunità devono essere reciproche e non a vantaggio di una sola parte». Un’Europa più assertiva dunque, che vuole portare Pechino a rispettare di più Bruxelles. Infatti, come sanno bene gli analisti che si occupano di Cina, i cinesi ti rispettano solo se ti fai rispettare.
• La priorità: difendere i settori strategici
«Quando nel 2008 il colosso cinese di macchinari per costruzioni Zoomlion acquisì Cifa, regina delle betoniere made in Italy, i cinesi mi chiesero se fosse normale non aver bisogno del permesso del governo italiano. Erano sorpresi», ci racconta Alberto Forchielli, presidente di Osservatorio Asia e partner fondatore del fondo Mandarin. Le cose oggi sono diverse. Bruxelles ha presentato le proposte per la creazione di un quadro europeo per il controllo degli investimenti esteri nell’Unione e in parallelo ha avviato una analisi dettagliata dei flussi di investimenti diretti esteri nell’Ue, istituendo con gli Stati membri un gruppo di coordinamento finalizzato a individuare problemi, soluzioni e strategie comuni. Si vuole impedire l’acquisizione di attività strategiche che permetterebbero di controllare o influenzare imprese europee cruciali per la nostra sicurezza, per l’ordine pubblico e per il primato tecnologico. È interessante – e anche in questo caso è la prima volta che accade –che, oltre agli Stati membri, anche la Commissione potrà esercitare un controllo diretto qualora gli investimenti diretti esteri incidano su progetti o programmi di interesse per l’Unione stessa quali Orizzonte 2020 nel settore della ricerca e innovazione, Galileo in quello dello spazio, Ten-t e Ten-e rispettivamente reti di trasporto e energetiche trans-europee. «Vivo la proposta della Commissione come la grandissima vittoria che auspicavo da tempo», continua Forchielli. «Ho vissuto sulla mia pelle la lotta impari con i cinesi». Quando l’anno scorso Kuka, il gioiellino tedesco della robotica, è stato acquistato dai cinesi di Midea, il fatto ha infastidito non poco i tedeschi. Berlino, pur di tenere in patria il know-how in un settore che sarà nevralgico per il futuro, ha fatto di tutto fino a mettere in piedi una cordata per la controfferta. Peccato che quella cinese fosse molto più allettante. «Le proposte della Commissione devono ancora essere approvate e certamente ci saranno dei veti», continua il presidente di Osservatorio Asia, «ma d’ora in poi, almeno sulla carta, ci sarà la possibilità di bloccare situazioni del genere». Forchielli, nella sua disanima, sottolinea anche come sia un peccato che nella direttiva si annoverino settori specifici. «Prefissare i settori è stupido», precisa, «perché quelli strategici oggi non lo saranno ancora tra dieci anni. Ad oggi il miglior sistema è quello canadese: il governo può bloccare un investimento straniero in qualunque settore, se lede la sicurezza nazionale l’interesse economico del Paese. Ma accontentiamoci, che già tanto è stato fatto».
• Frizioni lungo la via della seta
Ma perché la Commissione ha sentito per la prima volta il bisogno di tutelarsi? Solo un anno fa la direzione era contraria e si spingeva per un riconoscimento alla Cina dello status di economia di mercato. La Repubblica popolare non lo è, anzi. Inoltre, i Paesi più produttivi dell’Eurozona – Italia, Germania e Francia – hanno fatto fronte comune contro «gli investitori stranieri che operano secondo regole non di mercato o che non rispettano parità di trattamento» (e il pensiero vola immediatamente a Pechino). L’egoismo cinese non spinge peraltro a esserebgentili. «A luglio scorso, quasi in sordina, la Cina ha promulgato un regolamento che mette in chiaro come vuole investire all’estero per il proprio benessere, incoraggiando gli investimenti che promuovono la qualità, l’alta tecnologia e la ricerca e sviluppo ed espandendo la cooperazione agricola e zootecnica sulla nuova Via della Seta», spiega Hermes Pazzaglini, responsabile dello studio legale Nctm a Shanghai e specializzato proprio in fusioni e acquisizioni internazionali. Infatti l’analisi che accompagnerà il nuovo quadro normativo europeo si concentrerà sui casi di investitori che beneficiano di importanti sussidi statali.
• Il caso ungherese
L’esempio è quello dell’Ungheria. I cinesi, nell’ambito del progetto di una nuova Via della seta (Obor: One Belt One Road, una cintura una strada) puntano a costruire infrastrutture moderne via mare e via terra. Uno di questi progetti è la ferrovia che da Belgrado arriva fino a Budapest. Peccato che l’Ungheria sia uno stato membro dell’Unione e dovrà rispondere ad alcune domande. È stata fatta una gara pubblica? Se sì, quale il prezzo delle altre aziende e quale quello offerto dai cinesi? Perché se quest’ultimo è fuori mercato è probabile che qualcosa non abbia funzionato. La Commissione indaga anche per capire se dietro la società cinese ci siano soldi o aiuti statali che, ovviamente, sbaraglierebbero qualsiasi concorrente europeo. Come? Ad esempio, per costruire una strada ferrata si ha bisogno di macchinari che la Cina spesso fornisce subito e gratis. Quindi, anche se l’offerta è allineata a quelle degli altri, si parte da una situazione di vantaggio rispetto a chi per comprare i macchinari deve ottenere un finanziamento. Sono in tanti a pensare che la Commissione Europea non darà il bollino verde all’Ungheria. Se questo si verificasse, si tratterebbe di un precedente giuridico per la strategia Belt and Roadche, insieme a Made in China 2025 (il piano per trasformare la manifattura in industria 4.0), è un pilastro della futura strategia cinese.
• Quando l’affare conviene a entrambi
Eppure, Europa e Cina potrebbero intraprendere un sentiero di sana crescita comune. Michele Geraci, docente di politiche economiche cinesi presso la New York University di Shanghai, ha una ricetta. «Spesso l’imprenditore in crisi svende il cento per cento dell’azienda. Ma dovrebbe invece dire: vi permettiamo di comprarne il 30 per cento, poi potrete scalare di quote in proporzione al numero di ricavi aggiuntivi che la nostra azienda farà in Cina». Se quindi, seguendo il ragionamento di Geraci, Great Wall dovesse mai acquisire una partecipazione in Fiat Chrysler, «potrebbe acquistarne il 30%. Poi, ogni milione di macchine FCA vendute in Cina, potrebbe salire del 5-10% sul fatturato». Certo, non parliamo di un disegno di legge, ma di un modo concreto per testare l’affidabilità e la credibilità dell’acquirente cinese. Che così diventerebbe meno temuto. Occorre arrivare più preparati di fronte alle loro offerte, essere coscienti di chi abbiamo di fronte».
• Il precedente di Pirelli
L’unico gruppo che, finora, ha giocato bene le sue carte è Pirelli che, nonostante l’acquisizione di Chemchina, è riuscito a tenere il cervello in Italia e a breve tornerà in Borsa quotando il 40% della società. «Per forza il cervello è rimasto qui, i cinesi non sono ancora in grado di gestire una realtà occidentale come Pirelli», afferma provocatorio Forchielli che spiega come Tronchetti Provera abbia gestito al meglio l’operazione assicurandosi per qualche anno ancora il controllo dell’azienda. Chem China nel frattempo si è indebolita e verrà fusa con Sinopec. «Un’operazione che, a differenza di altre, è andata in modo “normale”», aggiunge ancora Forchielli. Infine, tornando a Bruxelles, gli esperti sottolineano che l’approccio della Commissione rimane minimalista: gli investimenti stranieri presi di mira, come s’è detto, saranno limitati alla sicurezza e all’ordine pubblico. «L’altro aspetto», ribadisce Pazzaglini, «riguarda il fatto che le proposte della Commissione non sono vincolanti per gli stati membri». Anche Michele Geraci è dubbioso. «Se l’ultima parola passa allo Stato membro», precisa, «ognuno dei 28 farà il proprio interesse». L’Europa, comunque, cerca di contenere gli investimenti cinesi, seppure con regole molto flessibili. Siamo arrivati al punto di dover temere una conquista cinese? Non proprio, secondo Bruxelles. Ma vale la pena cautelarsi. Parafrasando i Promessi Sposi, il messaggio di Junker potrebbe forse essere riassunto così: «Adelante China, con juicio!».