pagina99 22.9.2017
Parla Marco Cappato
Il bluff a Cinque stelle raccontato dai radicali
di Samuele Cafasso
Pochi hanno ricordato, negli ultimi giorni, che il plebiscito per Luigi Di Maio (candidato premier per il Movimento Cinque Stelle) non è il primo caso di un partito che sceglie i suoi vertici attraverso la Rete. Era il 2000 quando i radicali elessero il loro Comitato nazionale online, 15 mila voti. Anche loro parlavano di democrazia diretta e di una tecnologia al servizio di una politica più vicina al cittadino. Cosa rimane di tutto questo 17 anni dopo? L’abbiamo chiesto a Marco Cappato: «Mi ricordo che così, con quella campagna, arrivò nei radicali uno che non avrebbe mai avuto la possibilità di tirare su una campagna tradizionale per fare politica, entrare in un partito. Era Luca Coscioni. Più tardi fu la volta di Piergiorgio Welby. Sono l’ultimo a poter dire che nella tecnologia non c’è una potenzialità enorme: la possibilità di creare nuovi spazi di democrazia popolare». E, però. Però oggi è un’altra storia: «La grossa differenza è che noi non realizzammo tutto questo per un’operazione di marketing del prodotto radicale. Non volevamo semplicemente fare un partito più figo degli altri. La nostra era una richiesta politica alle istituzioni perché aggiornassero gli strumenti della democrazia». Diciassette anni dopo, gli stessi strumenti non servono per ammodernare la democrazia italiana. Piuttosto per demolirla e sostituirla con qualcos’altro che non conosciamo bene. Perché non sappiamo esattamente cosa sia e come funzioni la piattaforma Rousseau, non sappiamo chi comanda realmente il partito dei Cinque Stelle e non sappiamo quali siano – perché probabilmente non ci sono – i contrappesi e la dialettica interna a quel partito. Curioso no, Marco Cappato? «La rivoluzione tecnologica non dovrebbe essere uno strumento per superare la democrazia rappresentativa ma per rafforzarla, aiutando allo stesso tempo la democrazia popolare, referendaria. In termini di riforme dei sistemi di presentazione delle liste, dei referendum, degli strumenti di iniziativa popolare, quali sono state le battaglie dei Cinque Stelle? La loro enfasi sulla Rete può avere un effetto positivo. Almeno una sensibilità c’è, altri non hanno nemmeno quella. Ma il fatto di occuparsi di nuove tecnologie per il potenziamento del proprio partito disinteressandosi del funzionamento delle istituzioni non è solo un limite enorme, ma è anche molto pericoloso». Ci muoviamo su terreni inesplorati, dove vecchie parole assumono significati diversi. Cosa vuole dire democrazia diretta, popolare, oggi nell’era dei social network, delle fake news, delle filter bubble? «Ci sono molti rischi che sono quelli della violazione della privacy, dell’effetto bolla, della manipolazione. Accanto ad aspetti molto positivi. Per noi», dice Cappato, «la democrazia popolare non è mai stata in contrapposizione con quella rappresentativa. Quella del referendum per noi è sempre stata una seconda scheda con cui “correggere” gli errori del Parlamento, così come le leggi di proposta popolare. Sono ruoli che si rafforzano assieme, strumenti che servono a responsabilizzare la democrazia rappresentativa e a evitare che si allontani dalle istanze più sentite dai cittadini». «La tecnologia, gli strumenti di democrazia diretta», conclude Cappato, «dovrebbero potenziare la possibilità del cittadino di interagire meglio con la cosa pubblica, non contribuire a rendere un partito più forte degli altri. Da questo punto di vista, sarebbe gravissima l’abolizione della mancanza di vincolo di mandato. Il parlamentare è una persona libera che si confronta con cittadini liberi, non una persona schiava di un partito. Il legame tra vincolo di mandato e tecnologizzazione, digitalizzazione del partito è una logica che apre la strada a una democratia istantanea gestita dai partiti che elimina il dialogo e il confronto, cancella una reale democrazia che vive del confronto tra posizioni diverse».