lunedì 25 settembre 2017

pagina99 22.9.2017    
Nel Nordest non è mai il sabato del villaggio
Treviso | Il Veneto riparte, tornano gli straordinari. Anche alla Electrolux per recuperare i giorni persi con gli scioperi. Viaggio nella terra dove il lavoro in fabbrica è una religione, ma non per i millenials
di Samuele Cafasso

Treviso. Arrivando da Treviso in automobile, prima di giungere agli stabilimenti dell’Electrolux ci sono alcuni capannoni vuoti, ricordo di un tempo quando a Susegana «era tutto Zoppas». Poi più in là un enorme parcheggio – non ci sono più i pullman degli operai, ognuno arriva con la sua macchina – affaccia sui cancelli. È venerdì, ma chi entra non ha facce da ultimo giorno prima del week end: si lavora anche domani, sabato di straordinario per circa 300 lavoratori sui mille rimasti a lavorare in fabbrica dopo la cura dimagrante degli ultimi dieci anni. Si varcano i cancelli per il sesto giorno consecutivo in una settimana – ma pochi hanno voglia di raccontarlo – anche per recuperare il lavoro perso con gli ultimi scioperi contro il licenziamento di un delegato sindacale, Augustin Breda. «I lavoratori ci hanno scavalcato, tanto valeva fare un accordo e portare qualcosa a casa» mastica amaro Mauro Sperandio, vent’anni in azienda e oggi rappresentante di fabbrica per la Fim Cisl. Alla Fiom si dividono tra chi non vuole trattare e chi, invece, pensa che a questo punto convenga farlo. In Uilm, invece, vogliono che prima si sospendano i contratti di solidarietà. Tre sindacati, tre posizioni diverse. Intanto gli operai entrano in fabbrica per conto loro, straordinario volontario. Più 50% in busta paga per ogni ora lavorata rispetto allo stipendio base.
• Crisi alle spalle?
Il Veneto è ripartito e per chi ha un lavoro non c’è più molto spazio per il tempo libero. Concetto che, per altro, ai veneti non è mai piaciuto molto. «In Veneto – racconta lo scrittore Francesco Maino, autore di Cartongesso, libro-invettiva sul Nord-Est pubblicato da Einaudi nel 2014 – ci si vergogna di avere tempo libero. Se non lavori non hai valore, e quindi te ne vergogni. Punto. La vita è il lavoro, una visione tolemaica che è sacra e sacrilega allo stesso tempo, perché il lavoro spazza via tutto il resto, anche le pratiche devozionali cattoliche. Qui l’imprenditore tipo - che ha la terza elementare - piuttosto manda in ferie la moglie, ma lui resta in fabbrica. E, quando le cose vanno male, in fabbrica si ammazza. Non ci pensa proprio a farlo a casa». È sempre stato così. Anche oggi lo è? Tra i più anziani sì, sicuramente. Tra i giovani, chissà: a fine agosto ha fatto rumore la notizia che duecento tirocini offerti e promossi da Assindustria nelle aziende locali siano rimasti in buona parte senza candidati: un centinaio di domande, non di più. «Molti giovani continuano a sognare di diventare cuochi e magari di partecipare ai molti programmi televisivi nei quali vengono trattati e talvolta umiliati in maniera inimmaginabile in qualsiasi azienda industriale» era sbottata la presidente dell’associazione, Maria Cristina Piovesana, che sogna «una Treviso per i giovani».Ma forse non è la stessa che sognano i giovani, a dirla tutta. Secondo i dati dell’associazione industriali, nella provincia di Padova e Treviso, nel secondo trimestre 2017 gli ordini della manifattura sono cresciuti del 4,5%. Il settore metalmeccanico del 9,6%. Il 60% degli imprenditori si aspetta che gli ordini continueranno a questo livello anche nei mesi a venire, il 28% pensa che miglioreranno, solo il 12% vede nero. In tutto il Veneto, si è tornati ai livelli occupazionali prima della crisi. Ma, rispetto a prima, ci sono più lavoratori a tempo determinato e contratti di somministrazione. E crescono gli straordinari in una Regione che, a onor del vero, ne ha sempre fatti tantissimi. Alla De Longhi, nel settore stampaggio, si lavora anche di domenica. Alla Sole (indotto automobilistico) si va nella stessa direzione. «Prima della crisi, escludendo l’Electrolux che aveva problemi anche negli anni precedenti –racconta Antonio Bianchin, segretario della Fim Cisl – qui a Treviso l’orario di lavoro medio era di 48 ore. Con la cassa integrazione gli operai hanno perso anche tutti gli straordinari, ed è un dramma per chi il mutuo lo faceva da 450 euro invece che 300, contando su quei soldi». Gli straordinari come norma, insomma: «C’è anche un grande elemento culturale per cui se non lavori anche il sabato non sei un buon lavoratore», sostiene Enrico Botter, segretario Fiom Cgil. «È un’idea che io condanno, ma quando fai il sindacalista ci devi anche fare i conti».
• Straordinari e brioche
L’Electrolux, così, è diventata un simbolo. Un po’ perché la storia sindacale di questo territorio è la storia della ex Zoppas, dove tutto è partito. Un po’ perché questa è una delle fabbriche capofila di quel che rimane del settore dell’elettrodo - mestico bianco in Italia: insieme all’automobile, uno degli asset per cui il governo in Italia ha un occhio di riguardo, come dimostra l’accordo che nel 2014 ha salvato la fabbrica di Susegana. Tutto ha inizio lo scorso giugno quando l’azienda licenzia per giusta causa Augustin Breda, uno degli storici rappresentanti dei lavoratori della fabbrica, accusato di abuso dei permessi per assistere parenti malati (la vicenda è ora all’attenzione dei giudici per il lavoro, con la Fiom che parla di «condotta antisindacale»). I lavoratori rispondono con 37 ore di sciopero, adesione quasi totale. Breda, però, non ritorna in azienda e, a settembre, l’azienda si trova in ritardo sullo smaltimento degli ordini. Gli straordinari si fanno tutti gli anni in questo periodo, ma questa volta c’è stato di mezzo la vicenda Breda e di accordi la Fiom non ne vuol sentir parlare. Ma in fabbrica, alla fine, sindacato o non, gli operai ci vanno lo stesso. Prima in poco meno di 200 poi, nei sabati seguenti, 250-300. L’ala dura della fabbrica si ritrova a Pian Del Cansiglio con l’Anpi «per difendere i diritti dei lavoratori», una bella fetta di operai, però, varca i cancelli, accolta dalle brioche offerte dall’azienda con una tempistica proprio non felicissima. «Venduti per una brioche», «no, non ci vergogniamo di aver aderito allo straordinario volontario». Ping pong di un autunno tutt’altro che caldo, però. Alla fine, anche tra chi aderisce alla Fiom c’è chi dice che un accordo sugli straordinari serve, «anche perché così non governiamo la fabbrica» spiega Sandro Rui. «Il sindacato c’è per fare gli accordi». E così, probabilmente, finirà, con un’intesa per salvare un po’ la faccia e riportare la pace in stabilimento.
• Fabbriche 4.0 e globalizzazione
È il Nord-est sgobbone, della flessibilità comunque, del prendere il lavoro quando c’è perché qui, come dice la presidente di Unindustria Treviso Maria Cristina Piovesana, «il vero padrone è il mercato e sappiamo tutti che i clienti vanno accontentati perché, se non lo facciamo noi, c’è qualcun altro disponibile a farlo». Alla De Longhi i lavoratori sanno di avere una fabbrica gemella in Romania, Susegana si è tagliata un suo spazio nella galassia Electrolux perché, rispetto alla fabbrica in Ungheria, qui si fanno i frigoriferi da incasso lavorando di sponda con l’indotto del mobile. Altrimenti avrebbero già spostato tutto. È la globalizzazione combattuta colpo su colpo. Dove non c’è molto spazio per il totem del week end, per altro già andato in frantumi per chi lavora nei negozi, nella ristorazione, nei servizi. Avanti così, archiviando – se Dio vuole – la crisi. Ma fino a quando? «Il Veneto della cultura contadina – sostiene lo scrittore Maino – vive in una paura retrospettiva della miseria che, in questo presente permanente che abitiamo, è sempre in agguato. Cambierà mai? Forse ci cambieranno gli stranieri, se non hanno già imparato da noi». Uno stile di vita “che, provoca Maino, «è lavorare, uscire a bere, andare fuori al ristorante, più qualche bene di consumo che serve a dire che siamo arrivati». Maino gioca d’iperbole. In realtà non è tutto così fisso come sembra: nelle grandi fabbriche, oggi, gli stranieri sono il 30% della forza lavoro. I giovani, invece, sembra vogliano tenersene lontani, come dimostra la vicenda dei tirocini offerti e andati a vuoto, con conseguente polemica sulle ambizioni fuori fuoco dei millennials veneti. Tutti MasterChef, nessuno alla catena di montaggio? «Guardi che la fabbrica non è più quella di una volta, fare un frigorifero oggi non è come vent’anni fa» mi notifica, nel suo ufficio, Piovesana. Parla di industria 4.0, di una manifattura che guarda al futuro. Di operai che lasciano il lavoro pesante alle macchine per diventare in realtà controllori del sistema produttivo, nel migliore dei casi promotori di un’innovazione «indispensabile». «C’è un’industria che va comunicata meglio ai giovani, dove vale la pena lavorare. Tenendo conto anche che la dimensione famigliare delle nostre aziende è un valore» spiega Piovesana. Una storia di “piccolo è bello”, di multinazionali tascabili e di ripresa che è solo una parte del quadro. L’altra parte del quadro la raccontano ai cancelli della fabbrica, «però magari non scriverla proprio così». «La verità è che a volte i ragazzi entrano in fabbrica, restano qualche mese e poi gettano la spugna. Preferiscono guadagnare 800 euro e fare i commessi part time, magari continuando l’università, che fare i turni in fabbrica e guadagnarne 1.200. Hanno più tempo libero, anche se non le domeniche». E magari poi lo stipendio lo integrano i genitori. Con i soldi degli straordinari.