La Stampa TuttoScienze 6.9.17
Uno, cento, mille cervelli
In quelle metamorfosi il segreto della mente sana
Dalla ricerca di base i farmaci di ultima generazione
di Laura Cancedda
Il
cervello umano è un organo estremamente complesso che ha la funzione di
garantire il benessere dell’individuo e che continua, nei suoi
meccanismi, a rivelarci grandi sorprese.
La sua complessità è data
dal fatto che contiene un numero strabiliante (oltre 100 miliardi) di
unità funzionali, i neuroni. Queste cellule sono organizzate in
strutture ben definite dal punto di vista anatomico, le aree cerebrali,
che svolgono specifiche funzioni. Per esempio, le cortecce sensoriali,
come la visiva o l’uditiva, sono adibite a processare informazioni
provenienti dal mondo esterno come immagini o suoni, mentre l’amigdala
regola le emozioni, come la paura, e l’ippocampo regola l’apprendimento e
la memoria.
Mille trilioni
Tuttavia, per funzionare, il
cervello necessita che i diversi neuroni siano connessi l’un l’altro con
strutture specializzate chiamate sinapsi. In particolare si calcola che
ogni singolo neurone possa connettersi ad altri neuroni attraverso
qualcosa che può raggiungere le 10 mila sinapsi e che le connessioni
totali nel cervello possano arrivare fino a mille trilioni. Queste
connessioni si formano durante lo sviluppo a partire da programmi
genetici definiti, ma sotto la costante e pesante influenza delle
esperienze sensoriali, emozionali e di apprendimento a cui ogni
individuo è sottoposto durante la crescita. Il risultato sono
connessioni sia tra neuroni all’interno di una stessa area funzionale
sia tra neuroni di diverse aree funzionali, a volte anche distanti tra
loro.
Ma la complessità delle connessioni sinaptiche non è solo
questa. Infatti, le connessioni del cervello non sono stabili neanche
dopo che si raggiunge la maturità, perché anche le esperienze di vita
che facciamo ogni giorno in età adulta conservano (seppure a livelli
inferiori rispetto alla fase dello sviluppo) la capacità di cambiare le
sinapsi sia in termini di numero sia di tipo. Infine, nel cervello, non
ci sono solo neuroni, ma altri tipi cellulari, molti dei quali prendono
anche loro parte alla formazione di connessioni cerebrali.
Ma come
è stato possibile imparare tutte queste cose sul cervello? Attraverso
la cosìddetta «ricerca di base», cioè una ricerca scientifica volta a
capire la fisiologia dell’organizzazione e del funzionamento del
cervello. Per fare questo gli scienziati si possono avvalere di diverse
tecniche sperimentali. Queste tecniche comprendono procedure per
visualizzare i neuroni e le loro connessioni, altre procedure per
ascoltare e registrare che cosa si dicono questi neuroni e ulteriori
tecniche per capire qual è il risultato finale a livello comportamentale
di una corretta connettività tra i neuroni.
Infatti, se da una
parte la comprensione del funzionamento del cervello rappresenta ancora
oggi una delle grandi sfide della ricerca, dall’altra quello che già
sappiamo è invece da considerarsi un punto di partenza per capire la
causa delle malattie del sistema nervoso e per poter pensare a nuovi
interventi terapeutici sui pazienti. Infatti, quando si fa ricerca di
base non si sa mai quali prospettive potrebbero aprirsi per la salute
umana, ma a tutti noi ricercatori piace pensare che siano infinite. Nel
concreto, molte volte i risultati di una specifica ricerca daranno
frutti misurabili in termini di miglioramento della salute umana solo
molti anni dopo.
Sindrome di Down
Ma in altre occasioni, per
una serie di circostanze che possono essere addirittura casuali, le
cose possono andare anche un po’ più veloci. Come gli studi che abbiamo
recentemente realizzato nel nostro laboratorio dell’Istituto Italiano di
Tecnologia e che hanno portato a scoprire che un comune farmaco
diuretico riesce a ristabilire una corretta funzionalità delle
connessioni cerebrali in un modello murino di sindrome di Down: potrebbe
essere utile per il trattamento dei sintomi cognitivi tipici delle
persone con questa sindrome. Il farmaco, infatti, è già stato utilizzato
in passato per molto tempo in clinica per aumentare la diuresi e si è
dimostrato sicuro.
Basandosi sui nostri dati, l’ospedale Bambino
Gesù a Roma sta ora organizzando uno studio clinico-pilota che dovrebbe
cominciare nei prossimi mesi. Ci auguriamo che lo studio confermi i
risultati incoraggianti sul modello murino, ma non si possono fare
previsioni. Quello di cui però siamo sicuri, per il momento, è che con
tanto lavoro e un po’ di fortuna anche la ricerca di base mirata alla
comprensione di come funzionano le connessioni cerebrali ha il
potenziale necessario per migliorare la vita di tanti pazienti.