martedì 19 settembre 2017

La Stampa
Legge elettorale al via
Proposta con 63% proporzionale e 37% di sfide nei collegi
di Carlo Bertini - Ugo Magri

La prova che Renzi non punta a fare «inciuci» con Berlusconi dopo il voto, sta nelle ultime grandi manovre sulla legge elettorale. Con il Cav che ancora sta insistendo per un sistema tutto proporzionale, in modo da allearsi un domani con chi gli pare, magari proprio con la sinistra. Laddove il Pd sta tornando alla carica per un sistema un tantino maggioritario, che legherebbe un po’ di più Silvio a Salvini.
Questa proposta Pd, che forse giovedì verrà depositata nella Commissione affari costituzionali di Montecitorio, ricalca alla lontana l’antico «Mattarellum» con cui l’Italia votò 3 volte (nel ’94, nel ’96 e nel 2001). La nuova formula è nota come «Rosatellum», dal nome del capogruppo Pd. Una quota di futuri parlamentari verrebbe eletta nei collegi uninominali dove passa chi arriva primo; il resto sarebbe eletto sulla base di brevi «listini» in proporzione ai voti del rispettivo partito. Non ci sarebbero preferenze, nè voto disgiunto (ragion per cui Mdp è assai contraria), la scheda elettorale sarebbe unica. L’oggetto delle febbrili trattative - a tenere le fila dei colloqui Lorenzo Guerini ed Ettore Rosato - è l’entità delle due quote. Pare si stia negoziando su una base che prevederebbe alla Camera 231 seggi uninominali: vale a dire un sistema per il 63 per cento proporzionale e solo per il 37 maggioritario. Stesse percentuali a Palazzo Madama. I grillini non ne vogliono sentir parlare perché, sostiene Toninelli, «con i collegi uninominali vincono potentati e mafie». Salvini, invece, ha detto entusiasticamente di sì. A questo punto, la palla passa a Forza Italia perché, senza l’apporto del Cav, non ci sarebbero i voti sufficienti al Senato. E su Berlusconi si sta scatenando il pressing.
La tentazione
Parte dei generali «azzurri» va infatti dicendo: «Perché no?». Ovvero: «Meglio questo compromesso sul “Rosatellum”. Votare con la normativa esistente ci costringerebbe a una lista unica per la Camera con la Lega. Spartirsi 231 collegi sarebbe meno complicato che dividersi 100 posti da capolista». Magari qualche problema si porrebbe nel Centro-Sud, dove l’apporto leghista è zero virgola, però largamente compensato dal bottino che un centrodestra unito farebbe al Nord. I plenipotenziari azzurri si sono sentiti con quelli «Dem», i quali a loro volta hanno misurato le distanze con M5S e Mdp (Rosato ha lanciato un appello a Pisapia per l’unità a sinistra). Ma il nodo sta ad Arcore.
La resistenza del Cav
Chi vive accanto a Berlusconi lo descrive scettico sul «Rosatellum», perfino in questa versione super-proporzionale. Il motivo? Perché nel Nord spingerebbe Forza Italia a un patto di sangue con la Lega, capillare, collegio per collegio. Col risultato che Silvio, dei suoi eletti in condominio con Salvini, perderebbe il controllo. A seguirlo nelle eventuali larghe intese dopo il voto sarebbero meno del necessario. L’ex premier si domanda incredulo come mai Renzi lo respinga e, fino a ieri sera, non aveva dato il suo via libera. Ha Gianni Letta scatenato dalla sua. Ma il lavoro ai fianchi dei capogruppo prosegue e, vista l’imprevedibilità del personaggio, mai dire mai.