Il Fatto 19.9.17
Consip, cosa c’entra il Csm coi carabinieri?
di Antonio Esposito
Il
lupo perde il pelo ma non il vizio. Ancora una volta il Csm ha posto in
essere comportamenti che offrono il fianco a critiche anche aspre. Il
primo riguarda gli accertamenti che la prima commissione, presieduta
dall’ex sindaco Pd di Arezzo, avv. Giuseppe Fanfani, sta svolgendo nei
confronti del pm napoletano Henry Woodcock ai fini di un trasferimento
di ufficio del magistrato.
Qualche giorno fa, la stampa
(Repubblica, Corriere della Sera e Messaggero) ha dato notizia
dell’audizione, avvenuta nel luglio scorso, nel contesto di tali
accertamenti, del procuratore della Repubblica di Modena, Lucia Musti, e
ha pubblicato ampi stralci della sua deposizione (poi corretta e ieri
smentita dall’interessata), inviata per competenza alla Procura di Roma.
Evidentemente il Csm ravvisa in tali dichiarazioni ipotesi di reato,
presumibilmente a carico dei carabinieri del Noe, maggiore Giampaolo
Scafarto e colonnello Sergio De Caprio. Due considerazioni si impongono.
Innanzitutto sarebbe importante capire come si è giunti all’audizione
della Musti: se è stata lei a chiedere di essere ascoltata o se il suo
nominativo è stato indicato da altri sentiti nel corso degli
accertamenti. In entrambi i casi era necessario che la Musti fosse in
possesso di notizie riguardanti comportamenti di Woodcock – oggetto di
accertamenti a carico suo – e non di altri, sui quali il Csm non ha
alcun potere di indagine (ammesso che, nel caso di specie, l’abbia su
Woodcock, nei cui confronti già pendono due inchieste, una penale e
l’altra disciplinare, sì che spazi di interventi per fatti incolpevoli
da parte del Csm sembrano quantomai ristretti). Altrimenti non si
giustificherebbe l’audizione della Musti. Dalla lettura dei brani della
sua deposizione pubblicati dalla stampa, emergono, invece, accuse anche
abbastanza gravi nei confronti dei due militari Scafarto e De Caprio,
qualificati dalla pm come “esagitati” e “spregiudicati” per essersi
rivolti a lei con espressioni del tipo: “Lei ha una bomba in mano, se
vuole la può far esplodere”, “scoppierà un casino, arriviamo a Renzi”.
Ora, tali dichiarazioni – che esulavano dal tema di indagine
(l’eventuale trasferimento di Woodcock) – non potevano né dovevano certo
interessare il Csm, che avrebbe dovuto sospendere l’audizione,
invitando la Musti a renderla alla competente autorità giudiziaria.
Adempimento che la pm avrebbe dovuto già fare se, a suo tempo, avesse
ravvisato nel comportamento dei due ufficiali ipotesi di reato ovvero
informare, sempre a suo tempo, il procuratore generale del distretto di
Corte d’appello in cui essi operavano (art. 16 e 17 disp. attuaz.
c.p.p.), e il Comando generale dell’Arma, ove avesse ritenuto che tali
comportamenti fossero, come sembra, deontologicamente scorretti.
L’altra
considerazione è che, ancora una volta, atti coperti da segreto del Csm
(“censore delle fughe di notizie altrui”, come osserva incisivamente il
direttore di questo giornale) siano diventati di pubblico dominio. Il
tempo ci dirà se l’ex sottosegretario del governo Renzi, oggi vice
presidente del Csm, avv. Giovanni Legnini, vorrà disporre un’inchiesta
interna, e se il procuratore della Repubblica di Roma aprirà un’indagine
diretta a individuare il responsabile (all’interno del Csm o
dell’ufficio giudiziario romano) di una così grave violazione del
segreto di ufficio che ha fornito, comunque, l’occasione a una parte
politica (che vede coinvolto nella grave inchiesta Consip il padre del
segretario del partito), per fini chiaramente strumentali, di volgere a
proprio vantaggio (additare a sospetto l’inchiesta per fini chiaramente
fuorvianti e strumentali) le notizie contenute nella deposizione della
Musti (che non sembrano intaccare la solidità dell’inchiesta).
Un
secondo intervento improprio del Csm è costituito dall’avere, la prima
commissione, aperto un’indagine su ritardi, omissioni, negligenze in cui
potrebbero essere incorsi i magistrati degli uffici giudiziari minorili
di Lecce in ordine a provvedimenti da adottare nei confronti dei minori
L.M. e N. D. (la seconda, nel frattempo, uccisa dal primo). È di tutta
evidenza che non si è in presenza di comportamenti incolpevoli, i soli
che legittimano un intervento del Csm ai fini di un trasferimento di
ufficio per incompatibilità ambientale, bensì di comportamenti che
possono integrare illeciti disciplinari, in ordine ai quali si è già
doverosamente mosso il Guardasigilli (intanto si attende l’intervento
anche dell’altro titolare dell’azione disciplinare, peraltro ancora
silente sul caso procuratore Arezzo-Banca Etruria).
La conclusione
è che, a distanza di oltre dieci anni dalla riforma dell’ordinamento
giudiziario, il Csm fa ancora finta di non capire che non ha più quei
poteri che in precedenza gli consentivano di svolgere, spesso
impropriamente, accertamenti a tutto campo sui magistrati.