il manifesto 19.9.17
Le divisioni della sinistra combattono con gli avversari
di Alfio Mastropaolo
Dove
sta in Italia la differenza tra destra e sinistra? Nella sinistra, o
centrosinistra, italico la parte senza riserve pro-mercato è divenuta da
tempo preminente. Da ultimo vi si è sviluppata pure una vocazione se
non proprio razzista, comunque ostile agli immigrati. La differenza non
sta nemmeno nella moralità: non c’è bisogno di illustrarlo. Sta, non
giriamoci attorno, nella stupidità: in una micidiale stupidità
autodistruttiva.
Non risale a oggi, è antica. La stupidità ha
segnato la storia della sinistra (o del centrosinistra) nell’ultimo
quarto di secolo. La destra è almeno un po’ furba. È divisa, ci sono
globalisti e sovranisti, razzisti espliciti e più tolleranti,
nazionalisti e localisti. Ma, quando occorre, sono furbi abbastanza da
ritrovarsi. Nel centrosinistra il gusto per la divisione è tale che
preferisce far vincere l’avversario anziché ritrovarsi quanto basta per
essere competitivi.
A suo tempo le divisioni del centrosinistra
affossarono Prodi. Dopo un aperitivo al bar, Veltroni e Bertinotti nel
2008 decisero di dividersi e riconsegnarono il governo a Berlusconi. Le
divisioni prodotte dal renzismo hanno in questi anni consegnato alla
destra (o ai grillini) Torino, Genova, Venezia, l’Aquila, La Spezia, la
Liguria, Roma e molti altri posti. Prima che l’anno si concluda gli dei
della divisione otterranno il pingue sacrificio della Sicilia.
Non
che ci sia da rimpiangere Crocetta, parto fortuito e mostruoso del
declino (provvisorio) di Berlusconi, che ha governato in maniera
dilettantesca e sgangherata. Se tuttavia il centrosinistra aveva qualche
modesta possibilità di farcela alle prossime elezioni, se l’è giocata
prima di cominciare. Non disponendo di uno straccio di disegno di
governo, ci si è convinti che la composita coalizione che ha permesso a
Orlando di essere confermato sindaco di Palermo avrebbe funzionato anche
a livello regionale.
Chi abbia una benché minima dimestichezza
con le questioni siciliane sa bene invece che Orlando dispone a Palermo
di un’area di consenso personale, non trasferibile né ad altri
candidati, né ad altri livelli elettorali. Così oggi il centrosinistra
si appresta a gareggiare con due candidati, l’un contro l’altro armato e
ambedue senza speranza. I sondaggi danno il centrodestra col vento in
poppa. Nella miglior tradizione dei generali italiani, Renzi se ne è già
lavato le mani. Barattato Bersani con Alfano e le sue clientele, ha
scaricato sui siciliani la scelta di un candidato «civico».
Puro
frutto dello spirito di divisione che alberga a sinistra è anche il
successo del grillismo. Di Maio e Di Battista sono gente geneticamente
di destra: una reincarnazione del qualunquismo di Giannini. Ma il grosso
dell’elettorato grillino, lo dimostrano le ricerche del Cattaneo,
proviene da sinistra. Se non che, se lo sbandamento provocato dal
declino di Berlusconi dopo il 2011, aveva alle europee regalato a Renzi
il famoso 40 per cento e aveva convogliato verso Grillo un po’ di
elettori di destra, oggi che le mene renziane hanno resuscitato
Berlusconi, gli elettori di destra se ne tornano a casa e quelli che da
sinistra erano approdati tra i 5 Stelle forse si asterranno. Comunque
sia, il centrodestra ringrazia: dopo avere portato l’Italia al disastro
alla fine del 2011, è pronto a ripigliarne le redini.
La
stragrande maggioranza degli elettori, spiega la sociologia elettorale,
hanno memoria corta. Ed è difficile che si riconvertano stabilmente da
destra a sinistra e viceversa. L’economia ha intanto preso fiato: invero
molto poco. Qualche riforma gradita agli imprenditori, che magari il
centrosinistra avrebbe avversato fosse stato all’opposizione, l’ha fatta
il governo Renzi. Il centrosinistra ha pure concorso a amplificare
l’emergenza immigrazione. Il problema c’è e va governato con una
strategia di accoglienza e integrazione appropriata, che rassicuri
quanti ne sono intimoriti. La strategia di Minniti è consistita nel
concludere oscuri patti coi libici, e ha pure confermato l’idea della
destra secondo cui non si si può essere troppo accoglienti.
Tocca
rassegnarsi. Il problema del paese non è l’immigrazione. Fanno problema,
drammatico, il declino del sistema industriale, la condizione del
Mezzogiorno, la devastazione delle amministrazioni pubbliche, della
scuola, dell’università, della ricerca, i giovani che fuggono
all’estero, lo sfascio del territorio, i boschi che bruciano, la
ricostruzione post-terremoto.
Ci sarebbe materia per uscire dalle
sterili discussioni di schieramento, attirare su questi temi
l’attenzione degli elettori e concentrarsi sui programmi. Di cui però
nessuno parla, neanche sotto tortura. Questi sono problemi degli
italiani, non di chi li rappresenta e li governa.