venerdì 8 settembre 2017

La Stampa 8.9.17
Operazione D’Alema al Sud
Nel mirino non c’è Alfano ma Renzi
Obiettivo: farlo sbandare in Sicilia, a pochi mesi dalle politiche
di Amedeo La Mattina

Massimo D’Alema inaugura sedi del nuovo partito e taglia nastri (due giorni a Reggio Calabria quello del comitato provinciale di Mdp). Consiglia a Giuliano Pisapia, con il solito sarcasmo fatto di pause e scuotimenti di testa, di rileggersi i giornali che si era perso mentre era in vacanza per capire come sono andate veramente le cose in Sicilia: «Forse non ha seguito tutti gli sviluppi di questa vicenda, avrà modo di approfondirli». Ieri è sbarcato nell’isola per sostenere Claudio Fava e ha continuato a pestare Matteo Renzi che sarebbe colpevole di aver stretto «un accordo mercantile» con Angelino Alfano e quindi con la destra: «Un guazzabuglio, una marmellata nella quale non vogliamo affogare. Il Pd ha fatto la sua scelta, quindi si è preso la responsabilità di porre fine al centrosinistra. Se il Pd perde non è per causa nostra. Diciamo le cose come stanno: la contesa per la vittoria in Sicilia è tra 5 Stelle e centrodestra».
L’incubo di Renzi è certamente quello di arrivare terzo. L’obiettivo di D’Alema è proprio questo: tirargli un bastone tra le ruote e farlo sbandare paurosamente a novembre (il 5 si vota in Sicilia) a poche settimane dall’approvazione della legge di bilancio e a pochi mesi dal voto delle politiche del 2018. È la strategia della sconfitta finalizzata a destabilizzare il Pd («partito neocentrista, il partito personale di Renzi») per rimescolare le carte a sinistra. Tutto questo pilotando Mdp di cui non si conosce ancora la forza elettorale. Da lider maximo, abituato a fare politica in partiti di massa dal Pci in poi, a leader di un cespuglio, salvo exploit a due cifre. Il primo banco di prova è la Sicilia, ma lì gli basta far perdere Fabrizio Micari, il candidato di Renzi. Poi la tornata nazionale. «Spero - ha detto l’altro ieri a Reggio Calabria - che non ci sarà la stessa situazione, la stessa distanza». In altre parole, non ci sarà più Renzi, ovviamente. E’ quella testa che vuole far rotolare. D’Alema sembra preso dalla «sindrome Bertinotti» che provocò la caduta del governo dell’Ulivo e di Romano Prodi. Già allora c’era la sua manina. Quando a Palazzo Chigi andò proprio lui. E, come gli ricordano i renziani, ci arrivò con i voti degli «straccioni di Valmy», cioè grazie ai parlamentari amici di Francesco Cossiga e dei centristi di Clemente Mastella. Tutti in transito dal centrodestra al centrosinistra. Come gli alfaniani. «Quando D’Alema nominava sottosegretario Misserville, lo storico esponente missino, non si poneva il problema del centrosinistra», ricorda la deputata Stefania Covello. «È tutta la vita che D’Alema prova a spaccare il centrosinistra e a fare qualche regalo all’amico Berlusconi. Ora in Sicilia ci riprova. Mdp ormai è sempre più simile a Rifondazione, finirà nell’irrilevanza», sostiene il senatore Andrea Marcucci. Il vicesegretario Maurizio Martina, più pacatamente, fa presente che l’alleanza di tutto il centrosinistra con i moderati, poche settimane fa a Palermo, ha vinto le comunali. «Noi - dice Martina - stiamo replicando per le regionali quella proposta aperta».
È chiaro che il problema non è Angelino ma Matteo. D’Alema vuole fare evaporare Pisapia («è già evaporato», aveva detto alcuni giorni fa Claudio Fava con cui l’ex lider maximo è in tour) e separare nettamente i destini. Del resto, ha spiegato ieri a Messina, «le elezioni politiche sono con il proporzionale e ciascuno si presenterà da solo. Non siamo disponibili a fare alcun accordo con Alfano. Il Pd qui ha fatto le sue scelte e anche Pisapia deve prendere atto di questa situazione».