Corriere 8.9.17
Una Sicilia incubatrice degli equilibri nazionali
di Massimo Franco
Sarà
importante, naturalmente, vedere quale schieramento prevarrà nelle
elezioni siciliane di inizio novembre. Soprattutto all’interno dei
singoli partiti, il risultato verrà misurato e pesato per eventuali rese
dei conti. Ma dal punto di vista del sistema, sarà indicativo vedere
soprattutto se la divisione dell’elettorato in tre tronconi uscirà
confermata dalle urne. Se centrosinistra, centrodestra e Movimento
Cinque Stelle dovessero ottenere più o meno le percentuali dell’ultima
volta, si rafforzerà l’ipotesi di un Parlamento che alle Politiche del
2018 rischia di non avere una maggioranza: almeno se non si approva una
legge che spinga alcune forze affini a coalizzarsi.
Lo scontro per
la leadership tra Forza Italia e Lega, e la faida post-scissione tra
Matteo Renzi e il movimento di Pierluigi Bersani e di Massimo D’Alema
influiranno; così come il decollo o meno dell’operazione dell’ex sindaco
di Milano, Giuliano Pisapia, per riaggregare un pezzo di sinistra. Al
fondo, però, l’incognita rimane la possibilità di formare alleanze in
grado di tradursi in una coalizione di governo. E sotto questo aspetto,
l’approdo quasi per inerzia e rassegnazione al sistema proporzionale
costringerà a compromessi che potrebbero segnare negativamente la
legislatura. Lo scontro perpetuo e la diffidenza tra Pd e M5S lasciano
presagire un nulla di fatto.
Ribadire che o ci stanno tutti o non
se ne fa nulla, come fa il vertice dem, è un modo indiretto per bocciare
preventivamente qualunque cambiamento; e per andare alle urne per
contarsi, con l’idea di trattare dopo sull’esecutivo. «Alle elezioni
politiche nazionali si voterà con la legge proporzionale. Quindi non si
prevedono accordi tra nessuno, considerato che la legge non prevede
coalizioni: a meno che non sia cambiata», fotografa lo stallo l’ex
premier D’Alema. Ma, Lega a parte, nessuno si azzarda a riproporre il
maggioritario. Bruciano la bocciatura del referendum istituzionale del 4
dicembre scorso e il fallimento della riforma elettorale.
E
offrono un alibi a chi non vuole toccare niente. Da mesi i partiti
vengono pungolati dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella,
preoccupato dalla prospettiva che Senato e Camera abbiano sistemi non
omogenei; e dunque che si possano creare maggioranze diverse nei due
rami del Parlamento. È una preoccupazione che ieri si è incaricato di
rilanciare il presidente del Senato, Pietro Grasso, offrendo Palazzo
Madama come sede di una nuova trattativa. Quanto avverrà in Sicilia
potrebbe servire per capire se il pericolo è reale; e se davvero il
movimento di Beppe Grillo può aspirare al governo dell’Italia.
Fare
previsioni è difficile. Ma certo le divisioni tra Pd e Mdp non aiutano
il centrosinistra. Da giorni il segretario del Pd, Matteo Renzi, dice e
fa dire che non si dimetterà in caso di sconfitta in questo «voto
locale». Ma questo, per paradosso, ne sottolinea le implicazioni
nazionali. La difficoltà di decifrare l’esito è accentuata sia dalla
particolarità della politica siciliana; sia da una campagna del M5S
giocata tutta sullo scontento dell’opinione pubblica: in particolare per
la crisi economica. Eppure, le cose vanno un po’ meglio. E l’Europa
appare meno lontana.