La Stampa 8.9.17
Missione in Libia, svolta Onu “Partono
duecento caschi blu” E l’Italia chiede alle Ong di operare nei centri di
detenzione dei profughi
Bresolin E Schianchi
L’annuncio.
L’inviato speciale Salamé rende noto entro la fine di settembre l’invio
di duecento caschi blu in Libia per garantire la sicurezza alla missione
dell’Onu. Poi sprona l’Europa: «Parli con una voce sola».
Il
caso. La Farnesina propone di coinvolgere le Ong nei campi profughi per
«evitare di condannare i migranti all’inferno»: pronti a finanziare un
intervento
L’Italia: i campi in Libia sotto il controllo delle Ong
Il piano proposto dal viceministro degli Esteri Giro ai volontari
di Francesca Schianchi
Coinvolgere
le Ong nei campi libici per evitare di «condannare i migranti
all’inferno». L’idea è venuta al ministero degli Esteri, e più
precisamente al vice con delega alla cooperazione internazionale, Mario
Giro: dopo aver lanciato l’allarme un mese fa sulle condizioni infernali
dei campi, nel pieno della discussione sulla missione italiana
autorizzata a Tripoli, nei giorni scorsi ha rivolto un invito alla
galassia delle Organizzazioni non governative, proponendo un incontro a
chi è interessato a lavorare in Libia. Hanno risposto in una ventina, di
orientamento laico e cattolico, molte delle quali già impegnate in
varie zone del grande Paese nordafricano con compiti di protezione
dell’infanzia e nel settore della sanità, da Medici senza Frontiere
all’Arci a Save the children, da Intersos a Terre des hommes fino a
Elis, legata all’Opus Dei: ieri pomeriggio la riunione, alla Farnesina,
per prendere i primi contatti. Con l’idea però di accelerare e
intervenire al più presto: il bando è già pronto, sono stanziati sei
milioni di euro.
Dopo la stretta operata dal ministro dell’interno
Marco Minniti nel cuore dell’estate e le polemiche sul codice di
condotta per le Ong nel Mediterraneo, dopo la collaborazione con la
Guardia costiera libica e la riduzione dei flussi verso il nostro Paese,
il governo cerca di far scattare una terza fase. Quella invocata
dall’ala più “soft” e solidale del governo, rappresentata da Giro e dal
ministro dei Trasporti Graziano Delrio, preoccupata di garantire un
trattamento umano ai migranti in fuga dai propri Paesi e respinti in
Libia dopo essere stati intercettati in mare. Una preoccupazione tanto
più giustificata nel giorno in cui Msf invia una lettera ai governi
della Ue per denunciare stupri e torture nei campi.
«Non vogliamo
abbandonare queste persone all’inferno: per questo il sistema della
cooperazione italiana si sta muovendo e, senza aspettare che l’Unhcr o
l’Oim siano realmente presenti (agenzie dell’Onu, ndr.), abbiamo già
messo risorse a disposizione», spiega Giro. Sei milioni per questo
progetto, altri tre per un accordo con i sindaci del territorio. Tra un
paio di giorni, dal 10 settembre, un incaricato dell’Agenzia per la
cooperazione allo sviluppo si trasferirà a Tripoli.
La speranza
del ministero è di riuscire a fare entrare le prime Ong nei centri di
detenzione entro un mese. Anche se restano alcuni aspetti da chiarire:
prima di tutto come garantire la sicurezza dei volontari che dovranno
scendere nei campi. E poi, il permesso dei libici, indispensabile per
dare il via libera a un’operazione di questo tipo. Per quanto riguarda
la sicurezza - tasto delicato in un Paese in cui due anni fa sono stati
rapiti quattro nostri connazionali, due dei quali rimasti uccisi –
alcune Ong già lavorano nel Paese e sono conosciute, fattore che
potrebbe aiutare anche a fare accettare ai libici un loro ingresso nei
centri. «I rappresentanti delle Ong mi sono sembrati molto interessati»,
esce soddisfatto dalla riunione Giro: «Siamo pronti per cominciare
subito a operare. Vista la nuova situazione, cerchiamo almeno di
preoccuparci del destino di queste persone in Libia».