La Stampa 3.9.17
Diplomazia asimmetrica in Africa
di Maurizio Molinari
La
drastica riduzione degli arrivi di migranti sulle nostre coste nel mese
di agosto indica che la rotta dei trafficanti di uomini nel
Mediterraneo Centrale si può chiudere: è un risultato ancora temporaneo,
ma comunque evidente. Ed è il frutto della diplomazia asimmetrica degli
ultimi governi italiani: una novità prodotta dall’instabilità del
Nordafrica e destinata ad assegnarci maggiori responsabilità. Il crollo
degli arrivi di migranti non è dunque un punto di arrivo, ma di partenza
per la tutela dei nostri interessi nazionali in un Mediterraneo assai
mutato.
L’intervento italiano in Libia è asimmetrico perché si
sviluppa, da alcuni anni, su piani paralleli con interlocutori e metodi
d’azione differenti: sostegno al debole governo di Tripoli; accordi con
tribù, milizie e sindaci che controllano i confini del Fezzan e le coste
della Tripolitania; operazioni segrete per ostacolare i network di
trafficanti e indebolire i gruppi jihadisti; trattative con i Paesi del
Sahel attraversati dai flussi migratori; pressioni sui partner dell’Ue
affinché condividano tale strategia.
Se la chiusura della rotta
balcanica dei migranti è avvenuta nel 2016 grazie a intese fra Stati -
come l’accordo Ue con la Turchia - il 2017 ha visto il debutto da parte
dell’Italia di una nuova tipologia di patti in Maghreb e Sahel dove i
protagonisti non sono più solo Paesi sovrani ma anche tribù, milizie,
sindaci e clan locali. Ciò spiega perché all’azione del presidente del
Consiglio e del ministro degli Esteri sul terreno diplomatico ed a
quella del ministro della Difesa sul fronte militare si è affiancata,
con crescente visibilità, l’opera del titolare del Viminale, anche in
ragione della sua esperienza nell’intelligence.
Trovandosi a
trattare con uno Stato fallito come la Libia, l’Italia ha adottato un
format di relazioni in base al quale si persegue l’interesse nazionale
sfruttando ogni possibile interlocutore, ricorrendo ad ogni strumento
per rafforzare i propri alleati ed indebolire gli avversari. Mantenendo
canali aperti con tutti.
Tale approccio è anzitutto un riflesso
della situazione in Maghreb e nel Sahel dove l’indebolita sovranità
degli Stati obbliga a trovare leader credibili dentro milizie e tribù,
anche nelle zone più remote. Affrontando personaggi locali sovente
imprevedibili, portatori di richieste specifiche e con metodi di operare
più congeniali al suk che alle cancellerie. Essere riusciti a farsi
spazio in una tale cornice, dove tutto può cambiare nello spazio d’un
mattino, è un merito che deve essere riconosciuto agli inviati sul campo
dei governi italiani. Ma è bene chiarire che siamo solo all’inizio
dell’opera e che non si tratta di risultati acquisiti ma da consolidare.
La
diplomazia asimmetrica comporta infatti responsabilità assai più
articolate rispetto ai tradizionali rapporti fra Stati. Quando gli
interlocutori non sono più solo governi o leader ma gruppi di ogni
genere e fedeltà, le regole del gioco si trasformano. E riuscire a
imporsi diventa assai più complesso. Ad esempio, ciò che più conta nei
legami con tribù e milizie è la continuità dei rapporti personali e
diretti: creato un canale, trovato un interlocutore e costruito un
dialogo sulla base di reciproci interessi bisogna coltivarlo, senza
soluzione di continuità. Ovvero anche con figli, nipoti e parenti del
capo clan di turno. Perché al primo passo indietro, alla prima assenza,
l’interlocutore penserà di essere stato abbandonato e cercherà altri per
siglare accordi differenti, magari ad un prezzo più vantaggioso.
Poi
c’è l’elemento della credibilità come nazione: una volta raggiunte le
intese con milizie, sindaci e tribù bisogna mantenerle in tempi stretti,
ed alimentarle in continuazione, perché i raiss locali hanno più
urgenze di presidenti e governi. Hanno bisogno - in fretta - di proventi
da distribuire a famigliari, seguaci e fedelissimi perché questa è la
loro unica fonte di autorità sulla collettività.
Infine, ma non
per importanza, c’è il fattore deterrenza militare ovvero la capacità di
mostrare ed esercitare la forza, se necessario. Le operazioni finora
condotte dal nostro Paese - quelle note, come il sostegno ai raid Usa su
Sirte contro i jihadisti di Isis, e quelle coperte da riserbo come
l’uso di droni e sottomarini per braccare gli scafisti - hanno creato la
credibilità grazie alla quale possiamo operare in Libia e dunque, sono
destinate a eguitare, con modalità in continuo perfezionamento e
conseguenti investimenti, umani e finanziari.
Tutto ciò porta a
dedurre che la nostra presenza in Libia e dintorni è destinata a
protrarsi nel lungo termine, trasformando la proiezione strategica in
Africa in una costante degli interessi nazionali. Con il conseguente
rischio di alternare intese e frizioni nei rapporti con gli altri
europei - a cominciare da Francia, Spagna e Gran Bretagna - che hanno
propri interessi in Maghreb e Sahel. Per affrontare le nuove
responsabilità nel Mediterraneo avremo dunque bisogno di più risorse da
impiegare - civili e militari, economiche e politiche - e ciò significa
che i nostri governi saranno chiamati ad assumersi decisioni difficili
che il Parlamento dovrà vagliare e i cittadini condividere. È una strada
lunga, disseminata di ostacoli, che metterà a dura prova la tempra
nazionale. Farsi rispettare nel bel mezzo di un Mediterraneo in preda
alle crisi costerà sacrifici.
È la risposta asimmetrica
dell’Italia alla crisi dei migranti che ci ha fatto guadagnare spazio
nella regione del Sahara e ciò significa essere titolari, di fatto e da
subito, di maggiori responsabilità regionali. Si spiega anche così la
stretta del governo nei confronti delle Ong europee impegnate nei
soccorsi ai migranti nel Mediterraneo Centrale: avere maggior controllo
su chi naviga e attracca significa far sapere ai trafficanti di uomini
che l’esercizio della sovranità diventa più rigido anche in mare.
Se
l’Italia saprà darsi una politica africana di lungo termine i
temporanei successi estivi potranno essere consolidati, consentendoci
anche più controllo nella gestione dei migranti. Se invece la
determinazione verrà meno resteranno risultati estemporanei, e
rischieremo di subire pericolosi boomerang. Perché nel deserto forza e
debolezza si sovrappongono alla stessa velocità con cui si spostano le
dune sulla sabbia.