domenica 3 settembre 2017

La Stampa 3.9.17
Renzi avvisa il Pd
“Se perdo in Sicilia non mi dimetto”
Il segretario: basta litigare o vincono gli estremisti
di Francesca Schianchi

«Nessuno può sapere come andrà a finire in Sicilia. Può succedere tutto. Ma io ne resto fuori: mi hanno accusato di personalizzare il referendum, figuriamoci se personalizzo le Regionali siciliane...». A ora di pranzo ormai avanzata, con i militanti della Festa dell’Unità che lo aspettano al ristorante, il segretario del Pd Matteo Renzi si alza dal tavolo su cui ha firmato centinaia di copie del suo libro. Poco prima, dal palco dell’Estragon che ha permesso di ripararsi dalla pioggia, ha parlato di immigrazione e tasse, di scuola e sanità, già proiettato verso la lunga campagna elettorale da qui alle politiche. Non ha citato invece l’appuntamento più vicino, le prove generali che si terranno nell’isola a novembre. Quelle dove il Pd, secondo i sondaggi, rischia di arrivare terzo.
«Mi hanno chiesto un candidato civico, una coalizione larga, ho preso il modello Palermo. Poi, come andrà, nessuno oggi può saperlo», scuote la testa. Potrebbe vincere la destra, o trionfare il Movimento 5 Stelle, che vorrebbe tanto fare dell’isola un trampolino per Palazzo Chigi: «Chiunque vinca, per una settimana sta sui giornali, ha uno 0,3 in più nei sondaggi, poi al 15 novembre si ricomincia tutto daccapo», minimizza. Eppure, questa settimana Renzi dovrebbe fare tappa proprio in Sicilia, nel tour per presentare il suo libro. Una trasferta che in questo momento non è come le altre, ma che lui cerca di spogliare di significato: «Vado ovunque», taglia corto, dall’Emilia ieri a Pesaro e poi la Lombardia oggi, Genova e il Friuli a inizio settimana, in un fitto calendario di presentazioni. Dalla complicata partita siciliana vuole restare alla larga, anche se è convinto che nemmeno un eventuale risultato disastroso avrà effetti sulla sua leadership: non farà come Veltroni, che si dimise nel 2009 da segretario dopo la sconfitta in Sardegna, o come l’allora premier Massimo D’Alema che nel 2000 rinunciò a Palazzo Chigi dopo la batosta alle Regionali: lui non si dimetterà comunque, «loro scelsero di fare una certa partita in quelle Regionali, mentre io me ne sto tranquillo, sono su altro».
Su cosa, lo si capisce ascoltando questi suoi interventi alle Feste dell’Unità di Bologna, di Reggio, di Modena, da questa Emilia rossa e generosa da cui decide di ripartire dopo le ferie estive per lanciare la campagna elettorale per le politiche, che entrerà nel vivo con il giro in treno di tutte le province dal 25 settembre. È già proiettato al voto - «siamo a fine legislatura, a primavera si voterà» -, deciso a dare un profilo solido e rassicurante al partito, a qualificarlo come la «forza tranquilla», ruba un vecchio slogan a François Mitterrand, il «polo del buonsenso» da contrapporre «al populismo di Grillo e all’estremismo di Salvini». Per farlo, lancia un «avviso ai naviganti»: basta polemiche e scontri, «odio i litigi perché impediscono le discussioni - cita Chesterton - se tutti i giorni litighiamo, consegniamo il Paese agli estremismi», e a queste parole arriva l’applauso più fragoroso.
Loda i risultati ottenuti finora dai governi Pd («dopo i dati Istat i gufi sono costretti a tacere: si vede che sono ancora in ferie»), le scelte sull’immigrazione, citando per un complimento sia il ministro Minniti che il collega Delrio («si è fatto bene a bloccare gli sbarchi: non c’è divisione nel Pd su questo»), ma anche l’avversario interno Andrea Orlando, «siamo una squadra», predica in modalità inclusiva.
Critica il M5S e la destra ma evita polemiche con la sinistra, lasciandosi andare solo a una battuta su D’Alema: a chi chiede un partito senza il presidente di Italianieuropei, Renzi risponde con un sorriso compiaciuto: «Fatto!».
«Abbassiamo i toni e ripartiamo insieme», si rivolge a una platea accogliente, segnata da una sola contestazione, quando una signora insorge contro il salvabanche «Voi avete rubato» e il leader Pd le risponde ruvido: «Avete rubato lo dice a sua sorella». Invoca un Pd capace di «stare in mezzo alla gente e non nei litigi di Palazzo»: lì dove, confida dietro al palco, «il vero nodo è quello delle candidature, perché per la prima volta dopo varie legislature, se non cambia la legge, si vota con le preferenze». E tutti, e anche questo è un avviso ai naviganti, dovranno essere pronti a correre per conquistarle.