La Stampa 29.9.17
Giappone a corto di manodopera
Ora le aziende assumono i robot
Crollo demografico e chiusura agli immigrati fermano la crescita Previsto un aumento del 17,5% degli investimenti nelle macchine
di Cristian Martini Grimaldi
L’Henna
Hotel di Nagasaki, il cui nome si traduce in «hotel strano», è una
delle tante bizzarre attrazioni che i giapponesi danno in pasto ai
turisti giunti sin qui alla ricerca di conferme dell’idea preconcetta
che hanno di questo Paese. Ed ecco allora che lo staff dell’albergo è
stato rimpiazzato da un’eclettica schiera di robot, tra i quali una
signora umanoide che annuisce e regala sprazzi di realistiche
espressioni.
Ora, per via del costante calo di manodopera, le
aziende giapponesi hanno preso a reclutare personale meccanico alla
stessa maniera di quello strano hotel.
Infatti, contrariamente
alla percezione comune, le aziende giapponesi sono poco automatizzate.
La crescita dell’economia di questi ultimi mesi è dovuta non solo a un
aumento del 5,3% annuo della domanda privata - le famiglie hanno
acquistato più automobili e elettrodomestici - ma anche ad una spesa
aziendale che è salita addirittura del 9,9%, in quanto le aziende hanno
compensato la cronica mancanza di manovalanza investendo in più
automazione.
Non solo, secondo un’indagine della Banca del
Giappone, le società con capitale sociale dai 100 milioni a un miliardo
di yen (da 750 mila a 7,5 milioni di euro) prevedono di aumentare gli
investimenti nell’anno corrente del 17,5%, il livello più alto mai
registrato.
Non è chiaro quanto di questo ammontare venga
investito direttamente in automazione, ma le aziende che vendono questo
tipo di attrezzature parlano di ordini in netta crescita. Anche i ricavi
di molti produttori di robot giapponesi sono aumentati nei primi mesi
dell’anno per la prima volta in diversi trimestri. Dopotutto siamo nel
Paese che ha introdotto nell’immaginario collettivo l’idea stessa di
robot. Era il 1963 quando sulle televisioni americane e giapponesi
appariva Astro Boy, il primo dei tanti robot eroi la cui mission
salvifica contrastava nettamente con l’immaginario fobico della science
fiction occidentale di quegli anni.
Fu allora che l’Occidente
cominciò ad assorbire una gran quantità di giocattoli robot dal Giappone
che portò molti alla constatazione che fosse proprio la fiction
giapponese e non gli incredibili sviluppi della robotica ad alimentare
il consumo di gadget elettronici. Dunque anche la rappresentazione del
futuro occidentale appariva contaminato da elementi nipponici, uno su
tutti quel Blade Runner che trasfigurò una futuristica Los Angeles in
una Tokyo contemporanea dove le automobili erano in grado di volare
sopra strade ovviamente sempre sovraffollate. Ma quello che allora
ispirava Hollywood era un Paese ben diverso da quello odierno, era il
Giappone del boom di nascite e di esportazioni mentre l’automazione era
più nell’immaginario che nella realtà. Oggi i tassi di natalità più
bassi hanno generato un invecchiamento precoce della popolazione e una
diminuzione della forza lavoro che hanno messo in serio pericolo la
futura crescita economica del Paese.
Il modo in cui il Giappone
affronterà i problemi causati da una popolazione che invecchia fornirà
lezioni critiche anche per altre popolazioni limitrofe, tra cui la Cina e
la Corea del Sud, che dovranno affrontare simili sfide nei prossimi
anni.
Al momento tra le soluzioni contemplate non c’è quella di
utilizzare l’immigrazione per compensare il declino. Basti considerare
che l’anno scorso sono stati accolti appena 28 richiedenti asilo e 27
nel 2015. Questo rispetto a 10.000 richieste presentate nel 2016, in
particolare da persone provenienti da Nepal, Turchia e Sri Lanka.
Non
sorprende dunque se nella relazione annuale sulla politica estera
pubblicata ogni anno dal ministero competente si legge già alla seconda
pagina: «Il numero di persone che attraversano le frontiere è
drammaticamente in crescita a causa della globalizzazione, questo fatto
pone una grave minaccia per lo scoppio e la diffusione di malattie
infettive».
Nessun cenno quindi alle risorse che potrebbero rappresentare i migranti, si parla solo di un loro potenziale pericolo.