La Stampa 24.9.17
Minniti nella tana della destra
“Mi applaudite? Non sono Crozza”
Il ministro alla festa di Atreju. Meloni: merita almeno rispetto
di Francesca Schianchi
Alle
sei della sera nella sala ribattezzata per l’occasione “Italo Balbo” -
il gerarca fascista che amava le trasvolate oceaniche - Marco Minniti
viene accolto da un applauso timido. Due secondi non di più. È il
segnale: può accadere di tutto. E in effetti Minniti ha accettato di
entrare nella “tana del lupo”: nella platea della festa di destra Atreju
sono assiepati seicento tra giovani e adulti, nostalgici dell’Msi e ora
confluiti in Fratelli d’Italia e dunque per il ministro dell’Interno si
prepara il test più difficile di un’estate per lui punteggiata da
appuntamenti a tutto campo, dalla festa del “Fatto quotidiano” al
Cortile dei Francescani di Assisi. Tanto più per un ministro che da una
parte della sinistra viene dipinto come un “destro”.
E in effetti,
durante i sessanta minuti di intervista pubblica, accade di tutto:
Minniti scherza sul suo «capoccione» mussoliniano; racconta di aver
lavorato sulla scrivania del Duce, ma al tempo stesso cala sulla platea
parole sgraditissime: «La destra deve fare i conti con la propria storia
fino in fondo, deve farlo con una storia drammatica, che è finita per
sempre. Affinché il morto non afferri il vivo!». In questo caso scattano
i fischi, ma sui migranti si erano alzati gli applausi. Se l’incontro
ad Atreju doveva essere un mini-test sulla tenuta politica ed emotiva
del ministro dell’Interno e sul suo spessore da leader, l’esito è
raccontato soprattutto dagli ultimi 20 minuti di intervista. Ad un certo
punto Mario Giordano, direttore del Tg4, non si è più limitato alle
domande scomode: spesso ha parlato “sopra” le risposte del ministro,
urlando e cercando il consenso della platea. Consenso che è arrivato ed è
stato a quel punto che Minniti ha ripreso in mano la situazione, ha
rivendicato alcune scelte tutte sue (il brusco taglio di un grado di
giudizio per i rimpatri, l’accordo con le comunità islamiche italiane) e
al momento del commiato il ministro è stato salutato da un applauso più
lungo e più caldo di quello che lo aveva accolto un’ora prima. La prova
che l’”operazione” alla fine è riuscita: per i padroni di casa e per
l’invitato.
Marco Minniti si era presentato alla festa con una
giacca nera, all’ingresso firma due autografi e non di più, è accolto da
Giorgia Meloni, Ignazio La Russa e da Fabio Rampelli che scalda la
platea con tutti i contenziosi tra destra e governo, ma lo fa con garbo.
Minniti confessa subito il “problema” della serata: «Mentre stavo
venendo qui pensavo: se mi applaudono troppo gli dico, guardate che sono
Minniti, non Crozza!». A chi lo contrappone positivamente ad Alfano,
Minniti parla in terza persona: «Non accetto gli apprezzamenti
comparativi: Minniti si assume tutte le responsabilità». E poi strappa
il primo applauso: «Dopo 9 mesi da ministro sarei potuto venire e dire: è
tutta colpa dell’Europa e voi mi avreste applaudito. E invece ci ho
messo la faccia, vengo qui e vi dico: l’Italia ha fatto la sua parte».
Qualcuno dice: il ministro strombazza i suoi successi e lui risponde:
«No, le poche parole che Minniti dice possono anche essere cazzate, ma
il ministro parla poco». I sedicimila migranti riportati indietro dalla
Guardia Costiera libica «non sono respingimenti». Appare una vignetta
col capoccione di Mussolini: «Chiedo clemenza alla corte». E aggiunge:
«Se non dite niente a Crozza...». E racconta di aver lavorato sulla
scrivania del Duce e nella stessa stanza di Italo Balbo. Alla fine
Giorgia Meloni apprezza: «Minniti non è estraneo ai disastri della
sinistra, ma ho molto rispetto per il coraggio e la sua determinazione
di oggi».