La Stampa 2.9.17
Perché la “confessione” del Pontefice è rivoluzionaria
In Italia la Chiesa spinse per mettere Freud fuorilegge
di Fabio Martini
C’è
qualcosa di rivoluzionario nella confessione di papa Francesco di
essere andato in analisi, di averne tratto giovamento e di essersi fatto
curare da una psicoanalista. Sin dai primi del Novecento la Chiesa ha
sempre osteggiato con tutti i mezzi, anche “illegali”, la psicoanalisi,
avvertita come pericolosa concorrente, come “colpevole” di aver infranto
il monopolio cattolico nel confessionale e nella introspezione delle
anime. Certo il capo di accusa non è mai stato dichiarato
esplicitamente, ma per almeno 50 anni si è sviluppata una guerra senza
quartiere contro una disciplina “eretica” fondata dall’ebreo Sigmund
Freud.
La psicoanalisi è stata disciplina, almeno in Italia, vissuta
come destabilizzante da tutti i poteri costituiti. Agli albori la
contrastano non solo la Chiesa, ma anche il fascismo, l’idealismo
crociano e nel secondo dopoguerra il Pci di influenza sovietica. E
infatti all’inizio degli Anni Trenta i pionieri, non per caso, sono due
ebrei - Edoardo Weiss ed Emilio Servadio - e due antifascisti
socialisti, Cesare Musatti e Nicola Perrotti.
Il Vaticano è ostile
perché intuisce nella psicoanalisi una pericolosa concorrente. Ne
denuncia il «pansessualismo» e il «materialismo», ma di quelle teorie
ancora più inquieta l’ambizione «totalitaria», un’attitudine che finisce
col sottrarre alla Chiesa il monopolio dell’anima e i tanti segreti
personali, fino a quel momento custoditi in confessionale. E crolla
persino il monopolio sull’attività onirica, rispetto alla quale la
Chiesa aveva elaborato, ben prima di Freud, una sua «Interpretazione»,
per la quale attraverso i sogni è il diavolo che vuole catturare
l’anima. Ecco perché la Chiesa nel 1934 chiede a Mussolini – e ottiene –
la soppressione della “Rivista italiana di psicoanalisi”, alla quale
seguirà cinque anni dopo lo scioglimento della pur piccola Società
italiana di psicoanalisi. Soffocata sul nascere con l’accordo del
fascismo, la psicoanalisi italiana nel secondo dopoguerra subisce la
ripresa di ostilità da parte della Chiesa, al punto che nel 1952, sul
Bollettino del clero romano, si arriva a qualificare addirittura come
«peccato mortale» ogni pratica psicoanalitica. Una scomunica
apparentemente senza appello, ma che negli anni successivi via via si
scioglie grazie a piccole aperture di papi come Paolo VI e Giovanni
XXIII. Ora Francesco non soltanto ha “sdoganato” la psicoanalisi ma l’ha
elevata a “compagna” dell’anima umana.