La Stampa 18.9.17
Salvini: “Mano libera alla polizia”
Ignorato Berlusconi. Sicurezza e sovranismo: il piano è prendere i voti della destra
di Alb. Mat.
Sul
sacro pratone di Pontida ci sono, a occhio, 5 mila leghisti, il solito
folklore padano, i «Noi con Salvini» calabresi che vendono peperoncino e
‘nduja, molto fango e un fantasma. Il fantasma ha anche nome e cognome,
Silvio Berlusconi, ed è uno dei due innominati di giornata (l’altro è
Umberto Bossi, e a Pontida colpisce anche di più).
Nel suo pur
lunghissimo discorso, Matteo Salvini cita Berlusconi una sola volta, e
solo per ammonirlo che di recuperare dei «poltronari» alla Alfano non
vuol sentire parlare. Per il resto, Silvio è come la minima di
Campobasso: non pervenuto. Non lo citano Roberto Maroni e Luca Zaia e
nemmeno Giovanni Toti, primo non leghista invitato a parlare qui, che
pure è di Forza Italia. Tutti sanno, anche prima che da Fiuggi comincino
ad arrivare dichiarazioni poco digeribili, che a nominare Berlusconi si
rischiano fischi. Uno dei capi più venduti della collezione
autunno-inverno leghista è la maglietta con la scritta «Berlusconi
basta! Ti prego fatti da parte». Uno di quelli più indossati, la felpa
con lo slogan «Salvini premier». L’unico punto sul quale Silvio e Matteo
concordano, sia pure a distanza, è che a entrambi non piace Di Maio.
Solo che per il primo è «un meteorino», per il secondo «un funghetto».
Non
è solo questione di persone. Anche sui contenuti non sarà facile
trovare la quadra, concesso e non dato che lo si voglia. Gli spot per i
referendum autonomisti del 22 ottobre sono affidati a Maroni &
Zaia, e così il comizio di Salvini diventa un vero programma di governo.
Unica concessione «moderata», l’«ultima chance» lasciata all’Europa: «O
cambia, o addio». Per il resto, una serie di proposte poco moderate e
molto di destra, scandite interpellando la folla, «siete d’accordo, sì o
no?», secondo un modello di dialogo con la piazza che in Italia ha già
un illustre precedente, per la verità non molto rassicurante.
Nei
progetti c’è, intanto, una raffica di abolizioni: delle leggi antifascio
Mancino e Fiano («Le idee non si processano»), degli studi di settore,
della buona scuola, del decreto Lorenzin sui vaccini obbligatori, e
l’abolizione dell’abolizione del reato di immigrazione clandestina. Fra
le proposte, i giudici eletti dal popolo, una radicale riforma della
giustizia da affidare all’ex magistrato Carlo Nordio, l’introduzione di
un salario minimo orario, la difesa dei prodotti italiani, anche
reintroducendo i dazi doganali, la «mano libera alle forze dell’ordine»,
un referendum sull’autonomia per tutte le regioni, sei mesi di servizio
civile o militare e, ovviamente, «prima gli italiani».
Manca la
risposta «eclatante» al sequestro dei conti correnti della Lega disposto
dai giudici di Genova, «entrati di notte a ripulire le vostre tasche»
(e giù fischi). Era stata annunciata, non è arrivata. Difficile trovarne
una convincente? No, giura Salvini, la deciderà oggi il Consiglio
federale. La situazione è seria. Il verde sarà anche il colore della
Lega, ma la Lega al verde è un problema. Intanto sul pratone è già
partita la colletta.