La Stampa 18.9.17
Il lato oscuro delle Rems, metà dei pazienti rinchiusi prima ancora del giudizio
A
solo sei mesi dalla abolizione degli ospedali psichiatrici giudiziari
il sistema rischia di scaricare sulle nuove residenze i limiti delle
carceri
di Carola Frediani
L’ultimo «internato»
degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) è uscito a maggio. Gli
eredi dei manicomi criminali sono stati chiusi, ma non ancora del tutto
sconfitti. Aboliti nel 2014 per fare spazio alle Rems, residenze per
l’esecuzione delle misure di sicurezza. Strutture più piccole, di
massimo 20 persone, distribuite sul territorio, pensate come luoghi di
cura e reinserimento. Posti che dovrebbero accogliere solo autori di
reati giudicati infermi o semi-infermi di mente, ma anche socialmente
pericolosi e non adatti a soluzioni meno restrittive.
Insomma una
extrema ratio, pensata per chi sia stato giudicato in via definitiva,
come ha auspicato il Commissario unico per il superamento degli Opg,
Franco Corleone, nella sua relazione dello scorso febbraio. Con ricoveri
limitati nel tempo. Con il progressivo abbandono della contenzione,
cioè dell’uso di mezzi fisici e chimici per limitare i movimenti di un
paziente.
Dall’orrore di certi manicomi si è passati dunque a una
eccellenza italiana, una rivoluzione in corso. Che però rischia di
affondare. Non per suoi demeriti e neanche per colpa di ospiti dipinti
caricaturalmente come tanti Hannibal Lecter, ma trascinata dalle
questioni irrisolte della giustizia e della burocrazia italiane. Ne
sanno qualcosa a Bra, Piemonte, dove la Rems, provvisoria, come gran
parte delle trenta residenze oggi sparse per l’Italia, è nata da una
convenzione con una clinica privata, la casa di cura San Michele, dopo
molte resistenze della amministrazione locale. Dopo un lungo braccio di
ferro ci si è accordati su 18 posti, col paradosso che ce ne sarebbero
ancora un paio a disposizione che non sono stati attivati per
l’opposizione del territorio. E ci sono almeno sei persone in lista di
attesa in carcere che avrebbero diritto a entrare. «La Procura tutti i
giorni ci chiede disponibilità di posti letto, e noi rispondiamo che non
ne abbiamo. Tonnellate di comunicazione tra noi, loro e i carabinieri»,
ci raccontano alla clinica. La Rems di Bra è simile a un ospedale, più
colorato e ricco di attività, con aree per i laboratori, una minuscola
palestra. La sorveglianza esiste, ma discreta: videocamere, porte
multiple, vetri infrangibili. Dentro si respira un’aria serena:
educatori giocano a carte con i pazienti, molti maschi fra i 20 e i 40
anni, nel piccolo cortile. «Sappiamo di avere poco spazio, e cerchiamo
di fare tante attività all’aperto», spiega lo psichiatra Luca Patria.
Uscite controllate e autorizzate, naturalmente.
Per 596 ospiti
delle Rems in Italia - cifra che corrisponde alla loro capienza massima -
ce ne sono 289 in lista di attesa per entrare. Di questi, 205 sono però
destinatari di misure provvisorie (l’analogo della custodia cautelare
in carcere). Allo stesso modo, su 596 ospiti delle Rems ben 215 sono
«provvisori». Una deriva rispetto alle intenzioni originarie delle Rems
che rischia di farle saltare, facendo rientrare dalla finestra la logica
degli ex-Opg. E il trend, sulla base delle interviste e dei dati
raccolti da La Stampa, è in crescita nel 2017. A inizio agosto, in
Campania, i pazienti in Rems con misure provvisorie erano 38 su 63; in
Piemonte 12 su 37; in Lombardia 49 su 133. Ma se guardiamo ai nuovi
ingressi avvenuti solo nel 2017, assistiamo a una crescita: in Campania
31 ingressi su 36 sono provvisori; in Lombardia 43 su 59; in Abruzzo 8
su 8; in Piemonte 5 su 11. Numeri raccolti da Giuseppe Nese, il
coordinatore per il superamento degli Opg in Campania, che ha lanciato
da tempo un sistema di raccolta informazioni, Smop, poi adottato anche
da altre 14 regioni. Quelle citate hanno finora i dati più attendibili.
Ma
perché l’arrivo di persone con misure provvisorie è un problema? «In
molti casi si tratta di detenuti che manifestano comportamenti
disturbanti, etichettati come psichiatrici, e poi mandati in Rems»,
commenta Nese. «Una volta a giudizio molte di queste valutazioni vengono
meno. Ma intanto le Rems sono messe in crisi dall’invio inappropriato
di persone che dovrebbero essere trattate in altro modo». Concorda con
questa analisi Massimo Rosa, referente per il superamento degli Opg in
Piemonte. «Oggi le Rems sono un contenitore che va dalla schizofrenia ai
disturbi di personalità, comprendendo persone con cultura carceraria
che hanno sintomi psichiatrici. Basta uno di loro per sconvolgere tutti
gli equilibri», commenta Rosa. «E la situazione potrebbe anche
peggiorare visto che ad agosto è entrata in vigore la legge 103». Si
tratta della riforma Orlando che potrebbe consentire l’invio anche di
chi sia stato giudicato infermo di mente dopo il reato, in carcere, o
chi debba essere ancora valutato nelle sue condizioni psichiche, qualora
le sezioni degli istituti penitenziari non siano idonee. Da lì a
ritornare agli Opg, a riavvicinarsi più alla logica della prigione che a
quella della cura, il passo potrebbe essere breve. A impedirlo finora
c’è solo un fragile ordine del giorno approvato dalla Camera che impegna
il governo a non sovraccaricare le residenze di detenuti. Oltre alla
resistenza passiva opposta da molti operatori delle Rems.
«Molti
magistrati di sorveglianza e gip non hanno fatto proprio il principio
della riforma e si comportano come se le Rems fossero illimitate»,
commenta Michele Miravalle, ricercatore e attivista dell’associazione
Antigone e della campagna StopOpg. «Certo che le patologie psichiatriche
negli istituti di pena stanno montando, con detenuti che sviluppano
scompensi o hanno problemi pregressi che non sono curati in carcere. Ma
sono le Asl che dovrebbero occuparsi di queste persone».
Le Rems
vivono su equilibri delicati. «Sono un osservatorio sulla fragilità
nella nostra società», commenta Maria Grazia Gandellini, direttrice
delle Rems di Castiglione delle Stiviere, un simbolo della lunga marcia
della riforma. Isolata nel verde, a pochi km da Desenzano del Garda, non
ci sono quasi autobus per arrivare a quello che tutti ancora chiamano
l’Opg. La struttura imponente, con prati, panchine e pure una piscina,
chiusi però con recinzioni sormontate da filo spinato, fino a pochi mesi
fa era sovraffollata, dovendo accogliere pazienti di più regioni, in
attesa che nascessero le residenze locali. E oggi conta comunque fra i
140-160 ospiti, un numero ancora lontano dalla logica delle Rems. Anche
se nei prossimi anni qui dovrebbero costruire delle strutture nuove, più
piccole, e ridisegnare sei unità da 20. Intanto non mancano le
preoccupazioni. Ad esempio, il cambio nella tipologia di pazienti.
«Negli ultimi 6-7 anni sono aumentati i giovani con storie di problemi
scolastici, abusi di sostanze, smart drugs, amfetamine», spiega Stefano
Pellizzardi, direttore del sistema polimodulare delle Rems all’Asst di
Mantova. «Ma anche 30-40enni, adulti con alle spalle molti fallimenti».
Poi immigrati, per cui a Castiglione delle Stiviere servono anche di
mediatori culturali. Pazienti con bisogni complessi, in carico a più
servizi, dai dipartimenti di salute mentale ai Sert, in cui le Rems
fanno da anello di congiunzione. «Arrivano da noi perché spesso è
mancata l’integrazione prima fra i vari servizi», specifica Gandellini.
Alcune regioni si stanno muovendo per cercare di seguire queste persone
attraverso unità territoriali, con competenze miste, che facciano da
coordinamento. In un certo senso le Rems mettono in luce l’assenza di
sostegno per chi sta fuori. Il punto è sviluppare progetti riabilitativi
assieme ai servizi territoriali.
«Il problema non sono le Rems,
che finora funzionano e lo si vede dai numeri: è sceso il numero di
ricoverati rispetto agli Opg, e non si sono registrati problemi di
sicurezza», commenta Miravalle. «Il problema è semmai: quanto sono
seguite le persone fuori dalle Rems che avrebbero bisogno di cura?».