mercoledì 13 settembre 2017

La Stampa 13.9.17
Legge elettorale, Renzi frena
La sfida arriva dalla sinistra Pd
Stallo alla Camera sulla riforma. Sabato Orlando lancia la sua proposta
di Ugo Magri

L’ultima giustificazione per non fare la legge elettorale arriva dal Trentino Alto Adige. La Südtiroler Volkspartei minaccia di votare contro la manovra economica casomai venisse riproposto il «Tedeschellum» già silurato a giugno dai «franchi tiratori». Con quel sistema, infatti, l’Svp dimezzerebbe le 6 poltrone ottenute nel 2013 tra Camera e Senato, dunque nemmeno a parlarne. Giusta rivendicazione o volgare ricatto, il Pd sostiene che della pattuglia Svp non si può fare a meno. Cosicché la sorte del modello tedesco, su cui tre mesi fa stava realizzandosi una vastissima convergenza, viene ora subordinata a qualche (improbabile) compromesso con i sudtirolesi. Non solo. Nella Commissione affari costituzionali della Camera è spuntato un ulteriore dubbio: si può correggere una norma, sempre sul sistema di voto in Trentino Alto Adige, su cui l’Aula aveva già detto la sua? Sembra materia da azzeccagarbugli, e invece stamane la presidente Boldrini spiegherà ai capigruppo che siamo davanti a una questione di altissimo profilo perché, se ogni volta si potesse tornare indietro, la maggioranza cambierebbe tutte le votazioni sgradite, e la democrazia non sarebbe più tale. A quel punto, il Pd allargherà le braccia: purtroppo la strada del tedesco è sbarrata.
Ecco come mai le opposizioni ieri sono insorte quando il capogruppo Pd Rosato e il relatore Fiano hanno confermato la volontà di procedere sul tedesco, ma con l’accordo Svp e il via libera della presidente Boldrini. Per gli avversari di Renzi è solo una «finta», architettata da Matteo. Il quale avrebbe deciso di lasciare tutto com’è, tanto che già si starebbe dedicando al casting, cioè alla selezione dei futuri candidati (un po’ quanto sta facendo il Cav). Di vero c’è che al segretario Pd la normativa attuale non dispiace affatto. Magari cambierà idea dopo le Regionali siciliane, però intanto tiene il punto. E a chi denuncia le contraddizioni di due leggi figlie della Consulta, pretendendo quantomeno un ritocco come sollecita il Capo dello Stato, nel giro renziano obiettano che intervenire non è un obbligo, le sentenze della Corte costituzionale sono auto-applicative, per votare non serve un decreto e nemmeno c’è bisogno di provvedimenti amministrativi per colmare certe lacune, ad esempio quelle sulle preferenze in senato. Sono sufficienti, minimizzano al Largo del Nazareno, delle banali istruzioni ministeriali che spieghino come funziona e stop. Cioè praticamente nulla. Con il vantaggio che gli eventuali contestatori non avrebbero materia contro cui appellarsi al Tar.
Scenari da incubo
Ci sono però campane diverse, perfino dentro il Pd. Dove non tutti sono così certi che i ricorsi al Tar verrebbero preclusi dalle istruzioni ministeriali, col rischio che qualche giudice in vena di protagonismo potrebbe addirittura sospendere elezioni già convocate. La minoranza dem resta convinta che un ultimo sforzo per cambiare la legge rimanga indispensabile. E già prepara uno «strappo» non solo simbolico: sabato mattina l’area che fa capo a Orlando formalizzerà una sua proposta in occasione del convegno romano intitolato «Unire il centrosinistra per unire l’Italia», protagonisti il Guardasigilli con Pisapia e Calenda. Ne anticipa il succo Martella: consisterà nel sistema proporzionale alla tedesca ma con un premio per la coalizione (o il partito) che supera il 40 per cento. Da M5S e da Forza Italia osservano interessati. Il berlusconiano Brunetta ritiene che, senza scatti di dignità, il Parlamento farà l’ennesimo regalo all’anti-politica. Per cui pretende l’impossibile: «Una riforma votata da tutti, che scontenti tutti, e dunque non favorisca nessuno».