La Stampa 12.9.17
“Mediterraneo tomba dei profughi”
Record
di vittime nel Mediterraneo. Dall’inizio dell’anno, a livello globale
3741 persone sono morte nel tentativo di emigrare. Di queste, 2542 sono
affogate davanti al Maghreb. L’allarme arriva dall’ultimo rapporto
dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Il capo di
Frontex: «Servono più accordi con i Paesi di provenienza». Giovedì a
Bruxelles i ministri dell’Interno. A Tripoli cento guardacoste saranno
addestrati dai Finanzieri.
Rapporto dell’Oim sui flussi: sbarchi dimezzati dal 2016, ma il numero di morti è rimasto lo stesso
di Marco Bresolin
Gli
sbarchi diminuiscono, le tragedie continuano. Gli ultimi dati sui
flussi migratori, visti nel loro complesso, sono drammatici. Perché se è
vero che il numero di arrivi sulle coste europee del Mediterraneo si è
dimezzato nei mesi di luglio e agosto rispetto al 2016 (da 52.220 si è
scesi a 23.301), il numero di morti è rimasto praticamente identico (288
nel 2016 contro i 283 di quest’anno). Con un balzo ad agosto (151 morti
nel 2017: nel 2016 furono 62), che contribuisce ad assegnare al Mare
Nostrum il triste primato di rotta più pericolosa al mondo.
Dall’inizio
dell’anno, a livello globale, 3.741 persone sono morte nel tentativo di
emigrare. Di queste, 2.542 sono state inghiottite dal Mediterraneo. Due
su tre. Alle quali andrebbero aggiunti gli altri caduti sulla stessa
rotta: 281 nei Paesi nordafricani, 147 nell’Africa Subsahariana e 156
nel Corno d’Africa. Queste le cifre accertate dall’Oim, L’Organizzazione
internazionale per le migrazioni, ma in realtà potrebbero essere molti
di più.
Calano gli arrivi, ma non per questo va abbassata la guardia.
Tra i governi proseguono le trattative per modificare il piano operativo
della missione Triton: «Sarà pronto entro due mesi» annuncia il
direttore di Frontex, Fabrice Leggeri, anche se è difficile aspettarsi
grandi rivoluzioni nella parte che prevede gli sbarchi esclusivamente in
Italia. E dopo il vertice a quattro di Parigi, giovedì toccherà ai
ministri dell’Interno dei 28 sedersi attorno a un tavolo e trasformare
in pratica le buone intenzioni. Entro venerdì i governi europei dovranno
comunicare alla Commissione il loro contributo al piano di
reinsediamenti, che (teoricamente) porterà in Europa quasi 40 mila
rifugiati nel 2018 attraverso i corridoi umanitari. I soldi ci sono, gli
Stati devono mettere a disposizione i posti (su base volontaria).
Al
Consiglio Affari Interni, secondo la bozza preparata dalla presidenza
estone, verrà dato un nuovo impulso al piano di addestramento della
Guardia Costiera libica e sarà ribadita l’esigenza di migliorare le
condizioni delle comunità locali che si trovano sulle rotte dei
migranti. C’è poi la necessità di rafforzare i controlli al confine
meridionale libico e di spingere il piano di rimpatri volontari
assistiti da Libia e Niger. Serve anche un maggiore impegno nel Trust
Fund per l’Africa, che ieri è finito nel mirino dell’Ong «Global Health
Advocates». In un rapporto sull’uso dei fondi, ne viene criticata la
cattiva gestione. Troppo improntata all’emergenza anziché ai programmi
di lungo termine. «Una strategia - dicono - destinata a fallire».
L’Europa cerca anche un piano comune sui rimpatri forzati degli
«irregolari». Ieri Leggeri ha spiegato che il numero di quelli
effettuati da Frontex è raddoppiato nei primi mesi del 2017: «Abbiamo
organizzato 220 voli, per un totale di quasi 10 mila persone. In tutto
il 2016 i voli furono 232 per 10.700 migranti». I rimpatri, però, sono
possibili solo se esistono accordi di riammissione con i Paesi di
origine. Giovedì i ministri discuteranno anche della necessità di
utilizzare la leva dei visti - in senso restrittivo - con gli Stati che
non collaborano.