lunedì 11 settembre 2017

La Stampa 11.9.17
Tra estasi e follia i 100 anni dell’avventura novarese del poeta Dino Campana
Dopo la detenzione nel castello, davanti a Casa Bossi compose di getto una delle sue liriche più famose
di Marcello Giordani

Uno che dedica una poesia a una montagna e a una cupola non può che essere matto, e come tale va incarcerato. Pensato, detto e fatto esattamente cento anni fa a Novara, vittima Dino Campana, il «poeta maledetto», misconosciuto in vita e riscoperto con mezzo secolo abbondante di ritardo come uno dei grandi autori della letteratura italiana del Novecento.
E’ il 1917, la Prima guerra mondiale è agli sgoccioli. Campana, toscano dell’Appennino di Marradi, è un genio incompreso, un caratteraccio che non accetta le mezze misure, scottato dagli intellettuali raffinati fiorentini del Caffè delle Giubbe Rosse che gli hanno perso il manoscritto su cui aveva raccolto le poesie che confluiranno nei «Canti orfici»; ustionato dall’amore perché la passione per la scrittrice Sibilla Aleramo, una relazione «appassionata e delirante», è finita, ma il poeta non sa rassegnarsi. Senza soldi, col cuore a pezzi, va alla ricerca della donna amata. Il 10 settembre ha ricevuto a Marradi una lettera spedita dalla Aleramo dalla «Pensione Alpi, Ca’ di Ianzo, Novara». Prende il primo treno per il Piemonte ma il viaggio va a vuoto. La scrittrice ha già lasciato l’albergo.
Alla stazione di Novara l’attende un’altra brutta sorpresa: i gendarmi lo scambiano per un disertore o uno sbandato, forse per un tedesco, e lo mettono in manette al Castello, in quegli anni sede del carcere. Ma è Sibilla Aleramo ad intervenire per la liberazione del poeta, il 14 settembre.
Scarcerato, torna di nuovo alla stazione col foglio di via per Marradi: ha 24 ore per presentarsi ai carabinieri della caserma toscana. Così si concede un’ultima passeggiata e sul Baluardo, di fronte a Casa Bossi, uno dei capolavori dell’Antonelli, arriva la folgorazione: guarda verso nord e vede lo skykline delle Alpi con il Monte Rosa al centro, il «macigno bianco» come lo definisce nella poesia che compone subito dopo, di getto, affascinato dalle montagne dell’Ossola e dalla torre di San Gaudenzio che «instaura un Pantheon aereo».
Le visioni di Campana resteranno per decenni ai margini della letteratura e l’anno dopo finirà all’ospedale psichiatrico di Villa di Castelpulci, a Scandicci. Gli psichiatri lo bollano con una sentenza senza appello: ebefrenia, una forma incurabile di psicosi schizofrenica. Morirà in ospedale nel 1932.
La vicenda novarese di Campana verrà ricordata 100 anni dopo: giovedì 14 settembre, alle 18,30, a Casa Bossi, grazie al Centro Novarese di Studi Letterari, al Comitato d’Amore per Casa Bossi e all’Atl di Novara, riecheggeranno di nuovo i versi del poeta e verranno lette da Ezio Ferraris alcune delle pagine che gli ha dedicato Sebastiano Vassalli. L’editore Roberto Cicala racconterà i giorni novaresi di Campana e il critico Raul Capra ne svelerà un enigma.