domenica 10 settembre 2017

La Stampa 10.9.17
Il popolo anti-Brexit nel cuore di Londra “Non ci arrenderemo”
Meno gente del previsto nelle strade, vip e politici assenti
Nel Paese aumenta la rassegnazione per l’uscita dalla Ue
di Alessandra Rizzo

«Dobbiamo continuare a combattere, è il momento di arrabbiarci, noi inglesi siamo sempre così educati», dice Sally Long, in mano un cartello che è un grido di battaglia, «Non mi arrenderò mai». Sono alcune migliaia e vogliono fermare la Brexit. Hanno portato la loro battaglia di fronte al Parlamento, sotto lo sguardo severo di Winston Churchill, la cui statua domina la piazza antistante Westminster. «Il vecchio Churchill, lui sì aveva un bel messaggio sull’Europa», dice Sally, signora di mezza età arrivata da Bath per far sentire al governo la sua voce. La Brexit le ha fatto scoprire l’impegno politico. «Non avevo mai partecipato a una manifestazione in vita mia, adesso faccio volantinaggio per strada».
Alla Camera dei Comuni domani sera verrà votata la legge che cancella dalla legislazione britannica oltre quarant’anni di integrazione europea. In piazza, l’Unione europea è ovunque: nelle bandiere stellate che sventolano sotto il cielo settembrino, nelle spillette attaccate sui baveri delle giacche, nell’azzurro dipinto sui volti dei manifestanti, nei cartelli mostrati alle telecamere: «Exit Brexit», «Non possiamo stare senza di te, Ue!», e qualche slogan contro il Governo e la premier Theresa May. Sul palco si alternano i portavoce del movimento, qualche rappresentante politico, europarlamentari. «Je suis Europeen», grida qualcuno, con parole che piacerebbero a Michel Barnier, il negoziatore (francese) della Ue.
Ma la manifestazione, nel cuore della Londra cosmopolita ed europeista, non fa breccia. La rockstar annunciata, Bob Geldof, non è arrivata («all’ultimo momento non ce l’ha fatta», dice una portavoce del movimento). Sono arrivate invece cinquantamila persone, secondo gli organizzatori, forse anche meno, e comunque la metà di quelle che si aspettavano e della protesta organizzata quest’inverno.
Gli organizzatori dicono che il calo è dovuto alla stagione, la fine dell’estate, e promettono battaglia in quello che chiamano l’«autunno dello scontento». Ma forse è un segno che la rassegnazione ha preso il sopravvento tra il 48% che al referendum del 23 giugno 2016 ha votato contro la Brexit. Nessuno dei due partiti principali, conservatori al potere e laburisti all’opposizione, propone di tornare indietro. Troppo anti-democratico, troppo rischioso politicamente. La battaglia a Westminster si gioca sulle modalità del divorzio, sul ruolo del Parlamento, sulla relazione futura con Bruxelles.
In piazza di rassegnazione non se ne trova. Il serpentone partito da Hyde Park arriva di fronte al Parlamento nel primo pomeriggio, il Big Ben tace (per restauro), ma ci pensano i manifestanti a riempire di suoni la piazza. Ci sono famiglie con bambini, scienziati preoccupati per la fine dei fondi europei alla ricerca, universitari. E cittadini europei, piccola frazione degli oltre tre milioni che vivono nel Paese e i cui diritti sono oggetto di negoziato. «Sono in questo paese da vent’anni, non ho potuto votare al referendum, e Theresa May non ci dà nessuna garanzia, anzi ci usa come merce di scambio», dice Inaki Valcarcel, spagnolo, chimico presso la University of London. I partiti maggiori sono rimasti alla larga, solo i liberal democratici, gli unici anti-Brexit, sono presenti con le loro coccarde gialle e un piccolo stand.
Che senso ha ancora manifestare se l’Articolo 50, che determina l’avvio delle procedure di divorzio è stato invocato da sei mesi, se i negoziati sono avviati (anche se in panne), e il Parlamento sta per votare la legge che rescinde l’atto di adesione al blocco? «Dobbiamo essere pronti, quando si sentiranno gli effetti della Brexit sulla vita delle persone il Paese cambierà idea e allora si troverà la volontà politica», dice Helen. Qualcuno vuole dimostrare che la Gran Bretagna è ancora un Paese tollerante, aperto agli immigrati. Ma soprattutto i manifestanti vogliono un secondo referendum una volta che l’accordo con l’Ue sarà definito; e vogliono mettere pressione ad una premier debole, con una strategia incerta.
Il Governo di pressione ne ha già parecchia, e nei giorni scorsi ha combattuto su più fronti. Il partito conservatore è spaccato tra europeisti euroscettici, ciascuna corrente scontenta delle scelte della May; il partito laburista, che dopo mesi di tentennamenti si è schierato per una Brexit morbida, ha attaccato la legge in discussione in Parlamento e promette di votare contro; e a Bruxelles l’Ue ha criticato le posizioni negoziali di Londra e messo in dubbio l’impegno e l’affidabilità del ministro inglese per la Brexit, David Davis.
La manifestazione finisce, arriva un po’ di pioggia, le bandiere vengono arrotolate. È la fine dell’estate, e forse la fine delle speranze di fermare la Brexit. Ma non per tutti. «Dicono che è cosa fatta, ci sono tante pressioni per farci rassegnare», racconta Tarit Mitra, cittadino britannico nato a Roma, arrivato al corteo con i due figli piccoli. «Penso che sia quasi impossibile tornare indietro, ma sento che bisogna provarci».