La Stampa 10.9.17
Donne, i diritti che portano la modernità
di Maurizio Molinari
Il
mondo dell’Islam è attraversato dallo scontro fra fautori ed oppositori
della modernizzazione e per capirne l’andamento bisogna guardare al
rispetto dei diritti delle donne. E dunque spiccano le notizie arrivate
durante questa estate da Tunisi ed Amman.
La condizione delle
donne è un indicatore strategico dei cambiamenti in atto nei Paesi
musulmani perché si tratta della maggioranza degli abitanti, ovvero
madri, mogli, figlie e sorelle che costituiscono la spina dorsale delle
famiglie ma al tempo stesso sono le vittime più frequenti di imposizioni
islamiche, tradizioni tribali e leggi nazionali che le trasformano in
cittadini di serie B. Ovunque prevale l’intolleranza, sono le donne a
soffrire di più, così come ovunque l’eguaglianza si affaccia sono le
stesse donne le prime a giovarsene.
È tale cornice che spiega
l’importanza di quanto sta avvenendo in Tunisia, dove il presidente Beji
Caid Essebsi si è detto favorevole a raggiungere «la piena eguaglianza
fra le donne e gli uomini» proponendo l’equiparazione nel diritto di
eredità e la possibilità di sposare anche dei non musulmani. Nella
nazione dei gelsomini le donne rappresentano il 60 per cento degli
operatori medici, il 35 per cento degli ingegneri, il 41 per cento dei
giudici, il 43 per cento degli avvocati ed il 60 per cento dei laureati
ma la parità di genere, pur sancita dalla Costituzione del 2014, resta
da acquisire.
Forte del sostegno di un Parlamento dove su 217
deputati ben 75 sono donne - record arabo - Essebsi ha così scelto di
accelerare, prima facendo approvare la legge contro le violenze
sessuali, che pone fine all’impunità per i colpevoli in cambio delle
nozze con le vittime, e poi rilanciando su eredità e matrimoni misti. Le
reazioni dell’Islam più conservatore sono state aspre, con gli imam
dell’Università di Zitouna che si sono detti «sotto shock» e Sheikh
Abbas Shuman, vice del Grande Imam Ahmad al-Tayeb di Al-Azhar, maggiore
autorità sunnita, che ha parlato di «misure ingiuste in contrasto con la
Sharia» scagliandosi in particolare contro i matrimoni misti perché
«l’unione di una musulmana con un non musulmano nuoce alla stabilità
della coppia». Ma si è trattato di interventi che i maggiori partiti
tunisini hanno condannato e le autorità islamiche nazionali - Diwan
al-Ifta - hanno rimandato al mittente, descrivendo quanto la
secolarizzazione avanza nella nazione che vide nel 2011 l’inizio delle
rivolte arabe. E non si tratta di un caso isolato perché anche la
Giordania ha abolito la legge che proteggeva i violentatori, seguendo le
analoghe decisioni di Marocco e Libano. Si tratta, certo, di piccoli
passi ma suggeriscono come qualcosa stia avvenendo sul fronte dei
diritti delle donne nel mondo arabo. Sulle note del cantante egiziano
Ramy Sabry, autore del motivo «L’uomo» che recita «una donna non deve
dire sì e poi perdonare il giorno dopo» sommando oltre tre milioni di
visualizzazioni su YouTube. Non c’è dubbio che si tratta di una strada
ancora in salita. Per rendersene conto basta leggere la recente
indagine, pubblicata sul «New York Times» e condotta in Egitto, Libano,
Marocco e Territori palestinesi, secondo cui tre quinti degli uomini
ritengono che «una donna deve tollerare la violenza domestica per tenere
unita la famiglia». Come dice l’avvocato tunisina sui diritti umani
Khadija Moalla, «puoi avere le leggi migliori ma se non cambi la cultura
popolare non serviranno a nulla» e, aggiunge lo scrittore giordano Fadi
Zaghmout, «se una donna viene violentata o ha rapporti sessuali prima
delle nozze il suo futuro resta difficile». Ma nonostante le perduranti
resistenze, qualcosa si muove sul fronte dei diritti delle donne e
sottolinearlo può aiutare tutte coloro che, da Riad a Teheran,
scommettono sul fatto che possa essere questa la vera rivoluzione capace
di modernizzare l’Islam.