Corriere La Lettura 10.9.17
L’evoluzione della stupidità
“Il punto è: che cosa sarà della nostra libertà
di Viviana Mazza
Le app uccidono l’intelligenza
Dalla
collina dove sorge il Santa Fe Institute, puoi osservare le nubi che si
addensano a valle pronte a scaricare le piogge torrenziali del monsone.
L’istituto, fondato nel 1984 da scienziati di Los Alamos, alcuni dei
quali lavorarono alla prima bomba atomica, è un centro di ricerca
«iconoclasta», spiega il presidente David Krakauer, mentre pranziamo nel
patio sferzato dal vento. Qui non ci sono dipartimenti né discipline.
Scienziati e letterati si interrogano sui comuni denominatori,
riflettendo con rigore matematico su problemi complessi come
l’evoluzione dell’intelligenza o la natura del tempo.
Non è un
caso che l’istituto sorga nel Sudovest degli Stati Uniti, un luogo dove è
ancora vivo il mito della frontiera, gli spazi sono immensi, le regole
assenti e la morte onnipresente. «È come un monastero, una sorta di
antidoto alla modernità, un luogo dove minimizzare le stronzate», dice
Krakauer, che sta scrivendo un libro «sull’evoluzione dell’intelligenza e
della stupidità sulla Terra e nell’universo». Cormac McCarthy è uno dei
membri di questa comunità: qui ha scritto libri straordinari e di
recente un saggio sull’inconscio. L’autore di Meridiano di sangue , che
ama circondarsi di scienziati più che di scrittori, ha commissionato un
enorme ritratto di Isaac Newton che guarda dall’alto in basso gli
intellettuali raccolti nella sala riunioni, in modo che non si montino
la testa. Aziende come eBay, Google, Intel — persino i Marines — vengono
qui ad attingere idee.
Dal mese di giugno del prossimo anno
nascerà un «Festival interplanetario», che aprirà il «monastero» al
pubblico coinvolgendo chiunque lo voglia in dibattiti (anche online),
con l’obiettivo pratico di diffondere la consapevolezza che «le
decisioni economiche, ecologiche, tecnologiche e politiche sono
interconnesse, anche se continuiamo a trattarle come cose separate».
Presidente Krakauer, qual è la differenza tra il suo approccio all’intelligenza e quello di altre istituzioni?
«Intelligenza
è un termine potente dal punto di vista tecnologico, sociale, etico. È
un concetto di cui spesso si è abusato, in un certo senso è alla radice
del razzismo, ed è fonte di ansia per la gente. Viviamo nell’era
dell’ossessione per l’Intelligenza Artificiale e la capacità delle
macchine di apprendere: è il dibattito del nostro tempo. E in America
abbiamo Trump, un presidente considerato stupido dalla maggioranza delle
persone. È un tema che interessa a molti, la differenza è che per noi i
confini contano di meno. Noi non studiamo l’intelligenza in un certo
modo nella facoltà di Psicologia, in un altro modo in Informatica, in un
altro ancora in Storia. Siamo piuttosto unici anche per quanto riguarda
la scala temporale, perché lavoriamo molto sulle origini della vita
nell’universo. Ci chiediamo da dove viene l’intelligenza e qual è il
rapporto tra biologia, cultura, storia, tecnologia. Anziché misurarla
con un numero, il che sarebbe come valutare un capolavoro artistico solo
attraverso il suo valore di mercato, cerco di capire come funzionano
gli elementi costitutivi dei sistemi intelligenti: la memoria, la
rappresentazione (il più importante), il rapporto tra rappresentazioni e
società… Sono molto interessato all’intelligenza collettiva: nessuna
delle piccole cellule nella nostra testa è di per sé molto interessante,
ma nell’aggregato, quando sono 86 miliardi, succede qualcosa. Allora mi
chiedo: se ci fossero nel mondo 86 miliardi di persone, interconnesse
tra loro, ci sarebbe più intelligenza, un’abilità collettiva che il
singolo non ha?».
Anche altri hanno studiato la stupidità...
«I
grandi studiosi della stupidità sono i romanzieri: Flaubert, Cervantes,
Jonathan Swift. Bouvard e Pécuchet di Flaubert è un magnifico trattato
sulla stupidità. I viaggi di Gulliver di Swift è un’analisi
straordinaria della stupidità nella società. E di fatto cos’è la satira
se non un tentativo di far luce sull’idiozia umana? Abbiamo un gran
patrimonio di conoscenze sulla stupidità, ma non nelle scienze».
Come mai?
«Non
lo so, a volte scherzando dico che per uno scienziato sarebbe
imbarazzante definirsi un esperto di stupidità, non sembra compatibile
con l’essere intelligente. C’è un’enorme quantità di ricerche sulla
teoria dell’indecisione e sulle decisioni fallaci, che certo sono un
elemento, ma non vedo per la stupidità lo stesso interesse che c’è per
l’intelligenza (per esempio non si parla mai di Stupidità Artificiale):
abbiamo una certa familiarità con alcuni suoi “ingredienti” ma non
pensiamo ad essa in modo olistico. Sarebbe strano se qualcuno dicesse
che l’Austria negli anni che precedettero la Seconda guerra mondiale era
una nazione stupida, ma io credo che sarebbe un’affermazione corretta.
La gente pensa al genius loci , ai luoghi e ai tempi di fioritura della
creatività umana come il Rinascimento italiano, ma non ai momenti di
fioritura della stupidità».
Come definisce la stupidità?
«L’esempio
che faccio è quello del cubo di Rubik. Se ti do un cubo, ti chiedo di
risolverlo e tu lo manipoli in modo casuale, ci sono dieci quintilioni
di soluzioni: se tu fossi immortale prima o poi lo risolveresti. Questa è
un’esecuzione casuale. Un’esecuzione stupida consiste invece nel
ruotare solo una faccia del cubo all’infinito: così non arriverai mai
alla soluzione. Stupido, nella mia definizione, è ciò che è nettamente
peggiore del caso. Se invece una persona impara come manipolare il cubo e
conosce varie regole che permettono, da qualunque configurazione
iniziale, di arrivare alla soluzione in venti minuti o meno, questo è un
comportamento intelligente, nettamente migliore del caso. Intelligenza è
quel che facciamo per arrivare a risolvere un problema in modo
efficiente e senza sforzo, mentre la stupidità consiste nel seguire
regole che richiedono più tempo del caso o che non condurranno mai alla
soluzione…».
Nel suo libro parlerà di stupidità in politica?
«In
un certo senso, ma tendo ad essere molto cauto quando si parla di
politica, in parte perché non la capisco: è possibile che sia l’arena
della stupidità nella sua forma più pura, uno spazio dove si manifestano
le tendenze e i pregiudizi peggiori».
Secondo Elon Musk l’Intelligenza Artificiale è una minaccia alla sopravvivenza umana. È d’accordo?
«C’è
una più immediata minaccia all’intelligenza umana che non è
l’Intelligenza Artificiale o AI, ma quella che io chiamo la App-I,
l’intelligenza delle app. Sta già accadendo. Quando dobbiamo decidere
che libro leggere, che film vedere, o in quale ristorante andare, non
prendiamo una decisione ragionevole basata sull’esperienza, ma ci
affidiamo a Netflix, ad Amazon, alle app. Spingendosi più oltre, si può
immaginare una app per votare: ho un dato salario, certe aspettative e
idee, inserisco i dati in una app che mi dirà chi eleggere. Una delle
mie paure è la sistematica erosione del libero arbitrio, che
volontariamente scegliamo di non esercitare. Non voglio essere
apocalittico, adoro la tecnologia e penso che la storia dell’umanità sia
una storia di co-evoluzione con strumenti che rendono la nostra vita
più semplice. Ma mentre il linguaggio o i numeri sono artefatti
cognitivi complementari che aumentano le nostre capacità di
ragionamento, ci sono artefatti cognitivi competitivi che fanno
l’opposto: non amplificano le capacità umane ma le sostituiscono, con un
impatto negativo sul nostro cervello. Il fatto che le macchine
diventeranno sempre migliori è scontato. Il punto è: cosa vogliamo
tenere per noi stessi? Ed è un quesito che va affrontato dalla filosofia
morale più che dalle scienze».