Corriere 10.9.17
La Cina in guerra con le bici «libere» che sono tornate ad invadere le città
di Guido Santevecchi
Multe per frenare il «bike sharing» selvaggio
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PECHINO
Hanno conquistato le città cinesi, superando i 100 milioni di adepti.
Sono state lanciate alla conquista del mondo, dagli Stati Uniti alla
Gran Bretagna, dal Kazakhstan al Giappone, fino a Milano dove le abbiamo
appena accolte. Sono le biciclette in condivisione, forse il primo
trionfo globalizzato di un’innovazione made in China dai tempi della
polvere da sparo. Ma ora, l’eccesso di successo del «bike-sharing» ha
spinto il governo cinese a frenare la corsa selvaggia delle due ruote.
Pechino
ha vietato di mettere in strada nuove biciclette. Perché nella capitale
quelle condivise sono già oltre 2,4 milioni, con 11 milioni di clienti
registrati: metà della popolazione della capitale. Il risultato è che
queste bici offerte da una dozzina di società per cifre irrisorie, uno
yuan all’ora (12 centesimi di euro), occupano marciapiedi, slarghi,
aiuole, i lati delle strade in enormi file e anche in pile di mezzi
aggrovigliati. È colpa della formula che ha determinato la popolarità
dei pedali, e li ha spinti verso un imprevisto recupero di diffusione
rispetto alle automobili.
L’innovazione, rispetto ai programmi
adottati anni fa dalle amministrazioni comunali di molte città del
mondo, è che le nuove bici non vanno prese e riconsegnate in un
parcheggio fisso. Finito l’uso si lasciano nel punto più comodo: davanti
a un negozio, la fermata della metropolitana o dell’autobus,
disinvoltamente su un marciapiedi. Basta guardarsi intorno a Pechino e
se ne vedono una, dieci, centomila. L’idea geniale delle aziende private
è stata proprio di liberare le due ruote dalle rastrelliere e fornirle
di un sistema di affitto hi-tech: si scarica una app sul telefonino, ci
si registra pagando con lo smartphone una cauzione di circa 30 euro, si
controlla sulla mappa che compare sullo schermo dov’è la bici più
vicina, si sblocca l’antifurto scannerizzando un codice QR stampato
dietro il sellino e si pedala fin che si vuole.
È la «soluzione
del primo e dell’ultimo chilometro»: vale a dire che se la fermata
dell’autobus è un po’ distante da casa e poi dall’ufficio, invece di
prendere l’auto ora in Cina conviene montare in bicicletta e
raggiungerla. Un decimo dei pendolari cinesi oggi sceglie i pedali come
mezzo di trasporto rispetto al 5% di un anno fa.
Ma poco più di un
anno dopo l’introduzione del sistema da parte delle startup Ofo e
Mobike, che sono diventati giganti del valore di 2 miliardi di dollari,
grazie a massicci investimenti da parte di gruppi tecnologici come
Alibaba e Tencent, le biciclette offerte in condivisione in decine di
città cinesi sono circa 16 milioni. Le «biciclette libere» da ogni
vincolo hanno trasformato il panorama urbano in modo disordinato,
anarchico. E l’anarchia non piace al governo cinese. Ecco perché stanno
arrivando regolamenti sempre più severi. Pechino ha deciso la stretta
seguendo un’altra decina di metropoli.
A Shenzhen, dove circolano
oltre mezzo milione di bici in affitto, a luglio la polizia ha multato
per infrazioni varie 13 mila ciclisti imponendo alle società di bike
sharing di squalificarli appiedandoli per una settimana. E in un ritorno
al clima da Rivoluzione Culturale, ai trasgressori è stato ordinato
come insegnamento supplementare di copiare a mano mille parole
(caratteri mandarini) dal codice della strada. Siccome i tempi sono
cambiati e il maoismo non è più dominante, le autorità hanno dato la
possibilità di scegliere tra la scrittura e una multa da 2 mila yuan
(poco più di 250 euro). Ma la strada non finisce certo qui. Ultima
offerta: CoolQi propone bici munite di carica telefonino incorporato sul
manubrio. Color oro, come il business.