domenica 10 settembre 2017

Corriere La Lettura 10.9.17
Abdessamad Dialmy
So perché l’islam teme il sesso
intervista di Marco Ventura

Abdessamad Dialmy racconta da molti anni l’intreccio tra frustrazione sessuale, islam e violenza: nel suo Marocco e in generale nelle società islamiche. Sociologo, psicologo di formazione, ha insegnato nelle università di Rabat, Casablanca, Fez. È conosciuto in Francia. Pochi giorni fa, sul quotidiano parigino «Libération», ha commentato le proteste di piazza a Casablanca dopo l’ennesima aggressione sessuale di gruppo, filmata e postata in rete, vittima una adolescente su un bus: «L’islam — ha scritto — è divenuto oggi islamismo e ha cessato di essere una morale. Le donne non sono ancora considerate cittadine, sono solo corpi al contempo eccitanti e inaccessibili». Dialmy è ormai in pensione, ma i suoi studi e le sue teorie sono sulla breccia. «La Lettura» lo ha incontrato nella sua casa di Rabat, negli stessi giorni in cui due suoi connazionali, fratelli e minorenni, confessavano gli stupri di Rimini.
Dopo le violenze sessuali di Colonia nella notte del capodanno del 2016, il giornalista algerino Kamel Daoud ha invitato i musulmani a porsi apertamente la questione sessuale.
«Daoud s’è appropriato della mia analisi. Posi la questione molto prima di lui: dagli anni Novanta scrivo che le masse arabe urbane vivono una situazione di miseria sessuale. Due le possibilità davanti alla presenza ansiogena delle donne nello spazio pubblico: aggredirle, insultarle, violentarle; o darsi all’islamismo».
La norma islamica è severa sul sesso.
«Il codice penale marocchino punisce i rapporti omosessuali, le relazioni sessuali fuori dal matrimonio e l’adulterio. Eppure il Marocco vive un’esplosione sessuale».
Un’esplosione sessuale?
«Il sesso si fa ormai fuori del matrimonio e della norma eterosessuale. Esplode la sessualità: come mercato nella prostituzione, come discorso nei media».
I giovani sfidano le norme?
«I giovani sono sperduti. Si sentono umiliati anche a causa dello scenario internazionale. I giovani uomini non hanno più i mezzi economici per esercitare il dominio sulle donne. Restano due vie per imporsi: violenza o religione. L’uomo dice alla donna: ho diritto di dominarti perché Dio mi ha fatto superiore a te».
E le donne subiscono.
«Sono timide quando si parla di sessualità. Anche le femministe. Pensano che convenga la discrezione. Non si battono perché i rapporti sessuali siano fondati sul consenso. Ma la loro discrezione è una carta perdente. Penso alle femministe come la nostra Aïcha Chenna: è meritoria la sua lotta per le madri celibi, per le discriminazioni verso i figli illegittimi, ma perché non si batte per il diritto delle giovani a una vita sessuale fuori del matrimonio?».
Come è divenuto un pioniere sulla questione sessuale nelle società islamiche?
«I problemi sessuali sono di ordine sociale. Negli anni Ottanta ho dedicato al rapporto tra sessualità e società il mio dottorato all’università di Rabat e alle donne in Marocco il mio dottorato francese a Amiens. Poi, nel mio libro Logement, sexualité et islam ( « Alloggio, sessualità, islam» : Eddif, Casablanca, 1996, ndr ) , denunciai il rapporto tra sessualità, disagio sociale e religione».
Le minacce di morte sono arrivate a fine anni Novanta.
«La prima volta nel 1999. A Sana’a, in Yemen, dissi che l’islam doveva riformare se stesso prima di ambire a cambiare la società. L’interpretazione dei testi è necessaria, una nuova legge islamica è possibile. Poi nel 2000 pubblicai la prima inchiesta capillare mai realizzata in Marocco sulla crisi della mascolinità. Ricevetti ancora insulti e minacce».
Non si sente solo? Datato?
«Sono minoritario, lo so bene. Per i giovani di oggi l’islam è la sola carta che si può giocare, il solo rifugio. Un islam mitizzato, l’utopia del califfato».
Sulla sessualità nell’islam lei sostiene che abbiamo superato una prima fase storica.
«Quella dell’unità religiosa tra le norme e le pratiche sessuali. Per secoli vi è stata concordanza, continuità».
E ora siamo nella seconda fase.
«Quella della rottura tra norme che continuano a essere religiose e pratiche che si secolarizzano e diventano autonome».
Ci sarà una terza fase?
«È in gestazione. Non sono più soltanto le pratiche a cambiare. Le norme stesse cessano di essere religiose e si secolarizzano. Vi è un riallineamento tra pratiche e norme, di segno secolare. È la mia teoria della transizione sessuale».
Si capiscono meglio le minacce.
«Mi batto per nuove norme. Contesto il monopolio degli ulema , i dottori della legge ufficiale. L’ho detto anche in tv, di recente, in diretta, quando hanno cercato di impedirmi di parlare del testo sacro perché non c’era un ulema in studio. Il testo religioso riguarda tutti: psicologi, sociologi, storici e linguisti. Noi intellettuali abbiamo il diritto e il dovere di interpretare le fonti sacre per trarne la legge».
Psicologo, sociologo, figlio di un giudice, lei si fa esegeta del Corano per combattere ipocrisia e schizofrenia?
«Non uso queste nozioni. Non sono sociologicamente rigorose. L’ipocrisia è morale. Lo schizofrenico è inconsapevole. Il marocchino sa di dire una cosa e farne un’altra. La schizofrenia riguarda un individuo, il problema qui è collettivo».
E le categorie usate dagli islamisti?
«Parlano di deviazione gli islamisti moderati, i soft, quelli vicini al palazzo. I meno moderati parlano di caos, sedizione, fitna . I radicali vedono un ritorno alla jahiliyya , il tempo dell’ignoranza pagana che precedette la rivelazione».
Agli islamisti preme difendere l’islam contro l’esplosione sessuale.
«Gli islamisti concordano su un punto: l’islam è perfetto e i musulmani sono cattivi; l’islam è innocente e i musulmani sono colpevoli. Il sociologo non può accettare questa teoria».
Lei intravvede una nuova norma islamica e lavora per essa. In gennaio uscirà in Francia il suo nuovo libro, per l’editore L’Harmattan: «Transizione sessuale tra genere e islamismo».
«Dobbiamo impegnarci sulla reinterpretazione dei testi, lo dico da vent’anni».
Ma così facendo non si cede alla modernità occidentale?
«Gli islamisti oppongono noi da un lato e la modernità occidentale dall’altro. Io distinguo tra occidente e modernità. La modernità è anche mia. Abbiamo lavorato tutti per costruirla nella storia. Quando l’occidente tradisce la modernità lo critico. In nome della modernità stessa».
E se con la modernità arriva la secolarizzazione?
«La secolarizzazione è il mio ideale. Non l’ateismo o il comunismo che vogliono sradicare la religione. Ma uno Stato che non impone la religione nella sfera pubblica».
Ma il suo ideale pare irrealizzabile.
«Bisogna essere realisti. Nell’immediato bisogna riformare il testo religioso dall’interno, modernizzarlo. Per il momento deve cambiare l’islam. Si deve riconoscere che è cambiato il contesto sociale e si devono cambiare le leggi. Non contro l’islam, ma in nome dell’islam».