lunedì 4 settembre 2017

internazionale 2.9.17  
Scienza
Di cosa è fatta la coscienza
La maggior parte degli scienziati è convinta che sia possibile studiare la mente
come se fosse un oggetto concreto. Ma la rivoluzione quantistica ha messo in
discussione la possibilità stessa di comprendere l’essenza della materia
di Adam Frank, Aeon, Australia.

Oggi il materialismo ha la meglio nella più complessa delle questioni scientifiche: la natura della coscienza. Quando si affronta il problema della mente e del cervello, molti illustri studiosi si schierano a favore di un universo completamente riducibile alla materia. “Ovviamente non siamo altro che il frutto dell’attività dei neuroni”, affermano. Questa posizione sembra seria e ragionevole alla luce dei progressi delle neuroscienze, con le loro affascinanti immagini di cervelli che si illuminano come alberi di Natale mentre i soggetti mangiano una mela, guardano un ilm o sognano. E poi non conosciamo già le leggi fisiche che sono alla base di tutto ciò? Da questo punto di vista, quello della coscienza sembra essere solo un problema di circuiti, come sostiene il fisico americano Michio Kaku nel suo libro Il futuro della mente (Codice 2014). Nel dibattito sulla coscienza, chi sostiene che per comprendere la mente non basta pensare che sia “solo materia” è spesso dipinto come la vittima di una pia illusione e accusato d’imprecisione scientifica o, peggio ancora, di “misticismo”. È difficile non sentire il peso intuitivo dell’attuale buon senso metafisico. Chi ha il coraggio di mettere in discussione la superiorità dei materialisti, armati di risonanze magnetiche ed elettrocardiogrammi sempre più precisi? In realtà l’imponente fortino materialista nasconde un punto debole, semplice e innegabile: dopo più di un secolo di profonde esplorazioni del mondo subamentali incertezze e l’idea che l’osservatore disturba la realtà che sta cercando di misurare, la meccanica quantistica rende praticamente impossibile raffigurarsi la sostanza che compone il mondo ricorrendo alle classiche immagini delle briciole di materia o delle palle da biliardo in miniatura. Come la maggior parte dei fisici, ho imparato come ignorare la bizzarria della fisica quantistica. “Zitto e calcola!” (la massima del fisico statunitense David Mermin) funziona bene se stai studiando teoria quantistica avanzata o costruendo un laser. Ma dietro l’impareggiabile precisione di calcolo della meccanica quantistica, restano ancora profondi interrogativi sul rapporto tra le sue regole e la natura della realtà. Tra i fisici questi interrogativi sono ben noti, ma forse abbiamo imparato un po’ troppo bene a stare zitti e calcolare. Un secolo di agnosticismo sulla vera natura della materia non è penetrato abbastanza a fondo in altri campi, in cui il materialismo sembra ancora essere il modo più sensato di vedere il mondo e, soprattutto, la mente. Alcuni neuroscienziati pensano di essere precisi e concreti rimanendo ancorati alle credenziali materialiste. I biologi molecolari, i genetisti e molte altre categorie di ricercatori – come anche il pubblico dei non scienziati – sono tutti attratti dalle conclusioni apparentemente definitive del materialismo. Ma questa convinzione non concorda con quello che noi fisici sappiamo del mondo materiale o, meglio, con quello che non sappiamo. Albert Einstein e Max Planck introdussero l’idea dei quanti all’inizio del novecentomico, la migliore teoria che abbiamo su come si comporta la materia ci dice ancora molto poco su cos’è la materia. Per spiegare la mente i materialisti fanno appello alla fisica, ma nella fisica moderna le particelle che compongono il cervello rimangono, per molti aspetti, misteriose quanto la coscienza stessa. Quando ero un giovane studente di fisica, una volta chiesi a un professore: “Cos’è un elettrone?”. E la sua risposta mi sorprese. “Un elettrone”, disse, “è quella cosa a cui attribuiamo le proprietà di un elettrone”. Quella risposta vaga e circolare era ben lontana dal sogno che mi aveva spinto a studiare la fisica, un sogno fatto di teorie che descrivevano perfettamente la realtà. Come quasi tutti gli studenti negli ultimi cento anni, ero sconvolto dalla meccanica quantistica, dalla fisica del micromondo. Invece di un’idea chiara di quelle briciole di materia che spiegano tutte le grandi cose che ci circondano, la fisica quantistica ci dà un calcolo potente ma paradossale. Con la sua enfasi sulle onde di probabilità, le sue fonda-to, spazzando via la vecchia visione della realtà, ma non siamo mai riusciti a trovare una nuova realtà che sostituisse quella vecchia. L’interpretazione della fisica quantistica rimane più aperta che mai. Come descrizione matematica delle celle solari e dei circuiti digitali funziona benissimo. Ma se si vuole applicare la spiegazione materialistica a un concetto sottile e profondo come la coscienza, bisogna chiaramente porsi altre domande. Più la si guarda da vicino e più appare evidente che la posizione materialistica (o “fisicalistica”) non è quel porto sicuro di sobrietà metafisica a cui molti aspirano. Per i fisici, l’ambiguità della materia si riduce a quello che chiamiamo il problema della misurazione, e il suo rapporto con un’entità nota come funzione d’onda. Ai bei tempi della fisica newtoniana, il comportamento delle particelle era determinato da una semplice legge matematica espressa dalla formula F = ma. Se si applicava una forza F a una particella di massa m, quella particella si muoveva con un’accelerazione a. Era facile da immaginare. Una particella? Chiaro. Una forza? Chiaro. Accelerazione? Ovvio. Nessun problema. L’equazione F = ma dava i due aspetti più importanti della visione newtoniana del mondo: la posizione di una particella e la sua velocità. È quello che i fisici chiamano lo stato di una particella. Le leggi di Newton ci permettevano di determinare quello stato in qualsiasi momento e con tutta la precisione necessaria. Se lo stato di ogni particella può essere descritto da un’equazione così semplice, e se i grandi sistemi sono solo grandi combinazioni di particelle, il mondo intero dovrebbe comportarsi in modo totalmente prevedibile. Molti materialisti sono ancora influenzati da questa immagine classica. È per questo che la fisica viene ancora ampiamente considerata la fonte definitiva delle risposte a tutte le domande sul mondo, sia all’esterno sia all’interno della nostra testa. Nella fisica di Newton, la posizione e la velocità erano proprietà chiaramente definite di una particella. In linea di principio, le misurazioni dello stato della particella non cambiavano nulla. L’equazione F = ma era valida sia che stessimo osservando la particella sia che non la stessimo guardando. Tutto questo è crollato all’inizio del novecento, quando gli scienziati cominciarono a indagare gli atomi. Con un’esplosione di creatività, i fisici crearono una nuova serie di regole che chiamarono meccanica quantistica. Una parte cruciale della nuova fisica era costituita dall’equazione di Schrödinger. Come la formula newtoniana F = ma, l’equazione di Schrödinger è uno strumento matematico per studiare la fisica: descrive come cambia lo stato di una particella. Ma per spiegare tutti i nuovi fenomeni che i fisici stavano scoprendo (dei quali Newton non sapeva nulla), il fisico austriaco Erwin Schrödinger aveva dovuto formulare un tipo di equazione molto diverso. Quando si fanno i calcoli con l’equazione di Schrödinger, quello che si ottiene non è lo stato newtoniano di una particella con la sua esatta posizione e velocità, ma piuttosto la cosiddetta funzione d’onda (i fisici la indicano con la lettera greca 􀈌, psi). A differenza dello stato newtoniano, che è facile da immaginare, la funzione d’onda è un pasticcio epistemologico e ontologico. Non ci dà una misurazione specifica della posizione e della velocità di una particella, ma solo probabilità al livello base della realtà. 􀈌 sembra dirci che in ogni momento una particella occupa varie posizioni e ha varie velocità. Le briciole di materia della fisica newtoniana si dissolvono in una serie di potenzialità o possibilità. E non sono solo la posizione e la velocità a dissolversi. La funzione d’onda tratta tutte le proprietà della particella (carica elettrica, energia, spin, eccetera) nello stesso modo. Diventano tutte probabilità che hanno contemporaneamente molti possibili valori. Vista così, sembra che la particella non abbia nessuna proprietà precisa. È quello che intendeva dire il fisico Werner Heisenberg, uno dei fondatori della meccanica quantistica, quando consigliava di non pensare agli atomi come “cose”. Anche a questo livello base, la prospettiva quantistica aggiunge molta confusione a qualsiasi convinzione materialistica sulla natura del mondo. Poi le cose sono diventate ancora più bizzarre. Secondo il calcolo quantistico standard, l’atto di misurare una particella elimina tutti gli aspetti della funzione d’onda tranne quello registrato dagli strumenti che stiamo usando. Si dice che la funzione d’onda “collassa”, perché nell’atto della misurazione tutte le potenziali posizioni o velocità svaniscono. È come se l’equazione di Schrödinger, che funziona così bene per descrivere la particella prima della misurazione, improvvisamente non valesse più. Capite bene che questo complica notevolmente la visione, semplice e basata sulla fisica, di un mondo oggettivo e materialistico. Come può esistere una regola matematica valida per il mondo oggettivo prima di fare una misurazione, e un’altra che salta fuori dopo la misurazione? Ormai da un centinaio di anni, i fisici e i filosofi si accapigliano tra loro (e con se stessi) per cercare di capire come interpretare la funzione d’onda e il conseguente problema della misurazione. Cosa ci dice esattamente la meccanica quantistica sul mondo? Cosa descrive la funzione d’onda? Cosa succede veramente quando si fa una misurazione? Ma, soprattutto, cos’è la materia? Questione di gusti Oggi non esistono ancora risposte definitive a queste domande. Non sono neanche tutti d’accordo su che forma dovrebbero avere le risposte. Ci sono invece diverse interpretazioni delle teoria dei quanti, ognuna delle quali corrisponde a un modo molto diverso di concepire la materia e tutto quello che ne è composto, il che, ovviamente, significa tutto. La prima interpretazione a imporsi, quella di Copenaghen, è associata al fisico danese Niels Bohr e agli altri fondatori della teoria dei quanti. Secondo loro non aveva senso parlare delle proprietà degli atomi in sé. La meccanica quantistica era una teoria che riguardava solo la nostra conoscenza del mondo. Il problema della misurazione associato all’equazione di Schrödinger aveva messo in evidenza questa barriera tra epistemologia e ontologia rendendo esplicito il ruolo dell’osservatore (cioè noi) nell’acquisizione della conoscenza. Ma non tutti i ricercatori erano disposti a rinunciare all’ideale della conoscenza oggettiva di un mondo perfettamente oggettivo. Alcuni hanno riposto le loro speranze nella scoperta di variabili nascoste, di una serie di regole deterministiche annidate sotto le probabilità della meccanica quantistica. Altri hanno adottato una posizione più estrema. Nell’interpretazione a molti mondi proposta dal fisico statunitense Hugh Everett, l’autorità della funzione d’onda e dell’equazione di Schrödinger chela governa è considerata assoluta. Le misurazioni non sospendono l’equazione né fanno collassare la funzione d’onda, ma fanno sì che l’universo si divida in molte (forse infinite) versioni parallele di se stesso. Così, per ogni ricercatore che misura un elettrone qui, si crea un universo parallelo in cui una sua copia trova l’elettrone lì. L’interpretazione a molti mondi piace a tanti materialisti, ma ha un prezzo altissimo. Il punto ancora più importante è che finora non c’è stato modo di provare a livello sperimentale nessuna di queste interpretazioni. Scegliere l’una o l’altra è soprattutto questione di temperamento filosofico. Per dirla con il teorico statunitense Christopher Fuchs, da una parte ci sono gli 􀈌-ontologi, che vogliono che la funzione d’onda descriva il mondo “oggettivo”. Dall’altra ci sono gli 􀈌-epistemologi, che considerano la funzione d’onda una descrizione della nostra conoscenza e dei suoi limiti. In questo momento non c’è praticamente alcun modo per dirimere la disputa in modo scientifico (anche se l’esistenza di un tipo standard di variabili nascoste sembra essere stata esclusa). Questa arbitrarietà invalida la posizione strettamente materialistica. La questione non è se la preferenza accordata all’interpretazione a molti mondi da parte di qualche famoso materialista sia o non sia corretta. Il vero problema è che in ogni caso chi propone una teoria è libero di scegliere un’interpretazione o un’altra semplicemente perché gli piace di più. Siamo tutti nella stessa barca. Non possiamo fare appello a “quello che dice la meccanica quantistica”, perché la meccanica quantistica non dice molto su come vada interpretata. Ogni interpretazione della fisica quantistica ha i suoi vantaggi filosoici e scientifici, ma tutte hanno un prezzo. In un modo o nell’altro, costringono chi la sceglie ad allontanarsi dal “realismo ingenuo”, dall’idea delle briciole di materia deterministica che la visione del mondo newtoniana rendeva possibile. Passare ai “campi” di quanti non risolve il problema. Era facile immaginare che gli oggetti matematici descritti dalla meccanica newtoniana si riferissero alle cose reali del mondo. Ma i sostenitori della 􀈌-ontologia, a volte chiamata anche realismo della funzione d’onda, devono affrontare un labirinto di sfide. La raccolta di saggi The wave function (Oxford University Press 2013) ne descrive molte, alcune veramente astruse. Leggere questa densa analisi ci fa perdere quasi subito qualsiasi speranza che il materialismo possa offrire un punto di riferimento semplice e concreto per risolvere il problema della coscienza. Il fascino dell’interpretazione a molti mondi, per esempio, consiste nel fatto che riesce a mantenere la realtà nell’ambito della fisica matematica. Secondo questa teoria la funzione d’onda è reale e descrive un mondo fatto di materia che obbedisce a regole matematiche, che qualcuno lo stia osservando o meno. Il prezzo da pagare per questa posizione è un numero ifninito di universi paralleli, ciascuno dei quali continua a suddividersi in altri. Anche la posizione 􀈌-epistemologica ha un prezzo piuttosto alto. Da questo punto di vista la fisica non è più una descrizione del mondo in sé e per sé, ma una descrizione delle norme che regolano la nostra interazione con il mondo. Come dice il teorico statunitense Joseph Eberly, “non è più la funzione d’onda dell’elettrone, ma la nostra funzione d’onda”. Una nuova versione particolarmente convincente della posizione 􀈌-epistemologica, chiamata bayesianismo quantistico o “qbismo”, porta questa prospettiva a un più alto livello di specificità prendendo alla lettera le probabilità della meccanica quantistica. Secondo Fuchs, il principale sostenitore del qbismo, a causa delle sue irriducibili probabilità la meccanica quantistica consiste nel fare scommesse sul comportamento del mondo tramite le nostre misurazioni e poi aggiornare le nostre co-noscenze dopo aver fatto quelle misurazioni. In questo modo, il qbismo individua esplicitamente nella nostra incapacità di includere l’osservatore la ragione della bizzarria quantistica. Come ha scritto Mermin sulla rivista Nature, “il qbismo attribuisce la confusione che è alla base della meccanica quantistica alla rimozione dello scienziato dalla scienza”. reinserire il soggetto della percezione nella fisica sembrerebbe mettere in discussione l’intera prospettiva materialistica. Una teoria della mente che dipende dalla materia che a sua volta dipende dalla mente non potrebbe garantire le solide basi che molti materialisti cercano. Il materialismo è una filosofia attraente, o almeno lo è stata fino a quando la meccanica quantistica non ha modificato il nostro modo di pensare la materia. “Io le confuto così”, disse lo scrittore britannico del settecento Samuel Johnson mentre dava un calcio a un grosso sasso per rispondere alle argomentazioni contro il materialismo che aveva appena ascoltato. Quel calcio è l’essenza di una visione ostinatamente materialistica del mondo. Pretende di spiegare di cos’è fatto esattamente il mondo: di briciole di una cosa chiamata materia. E dato che la materia ha proprietà indipendenti e separate da tutto quello che ha a che vedere con noi, possiamo usarla per costruire una spiegazione assolutamente oggettiva di un mondo assolutamente oggettivo. Questa visione della realtà sembra ispirare buona parte della fiducia del materialismo nella sua capacità di risolvere il mistero della mente umana. Ma oggi è difficile conciliare questa sicurezza con le diverse interpretazioni della meccanica quantistica. La meccanica newtoniana può andare bene per spiegare l’attività del cervello. Può bastare per cose come il lusso del sangue attraverso i capillari e la diffusione chimica attraverso le sinapsi, ma il terreno del materialismo diventa molto più scivoloso quando cerchiamo di afferrare il mistero più profondo della mente, vale a dire la stranezza di essere un soggetto che percepisce la realtà. In questo campo, non è possibile evitare le complicazioni scientifiche e filosofiche che la meccanica quantistica comporta. In primo luogo, le differenze tra la posizione 􀈌-ontologica e quella 􀈌-epistemologica sono così fondamentali che finché non sapremo quale delle due è corretta sarà impossibile capire a cosa si riferisce veramente la meccanica quantistica. Immaginate per un momento che sia corretta l’interpretazione qbista. Se questa enfasi sul soggetto che osserva fosse la lezione che dobbiamo trarre dalla fisica quantistica, l’idea di una conoscenza oggettiva del mondo, che è alla base del materialismo, perderebbe decisamente forza. Mettiamola in un altro modo: se il qbismo o altre teorie simili a quella di Copenaghen hanno ragione, potremmo aspettarci enormi sorprese dall’esplorazione del soggetto e dell’oggetto, di cui dovremmo tenere conto in qualsiasi spiegazione della mente. D’altra parte, il materialismo vecchio stampo, essendo un tipo di 􀈌-ontologia, non potrebbe capire questo genere di aggiunte. Un secondo punto legato al precedente è che, in mancanza di prove sperimentali, ci rimane l’irriducibile democrazia delle possibilità. Durante un convegno sulla teoria dei quanti nel 2011, tre ricercatori hanno condotto un sondaggio chiedendo a tutti i partecipanti quale fosse la loro interpretazione preferita della meccanica quantistica. Per quanto un esercizio simile sia utile per capire le inclinazioni dei ricercatori, indire un referendum per stabilire quale interpretazione dovrebbe diventare quella “ufficiale” al prossimo convegno della Società americana di fisica non ci porterà più vicino alle risposte che cerchiamo. Qualcosa di più È in questo senso che il lavoro incompiuto della meccanica quantistica mette tutti sullo stesso piano. La superiorità del materialismo si sgonfia quando si risale alle sue radici di meccanica quantistica, perché a quel punto richiede di accettare possibilità metafisiche che non sembrano più “ragionevoli” di altre. Alcuni studiosi della coscienza possono pensare di essere più concreti quando si appellano all’autorità della fisica. Ma quando siamo messi sotto pressione su questo tema, spesso noi fisici ci guardiamo i piedi, sorridiamo impacciati e borbottiamo che “è una questione complicata”. Sappiamo che la materia rimane un mistero come rimane un mistero la mente, e non sappiamo quale dovrebbe essere il collegamento tra questi due misteri. Classificare la coscienza come un fenomeno materiale equivale a dire che anch’essa rimane fondamentalmente inspiegabile. Invece di accantonare il mistero della mente attribuendolo ai meccanismi della materia, possiamo cominciare a fare un passo avanti prendendo atto di quello che ci dicono le molteplici interpretazioni della meccanica quantistica. Sono passati più di vent’anni da quando il filosofo australiano David Chalmers ha accennato all’esistenza di un “difficile problema della coscienza”. Seguendo il lavoro del collega statunitense Thomas Nagel, Chalmers sottolineava che la vividezza, l’intrinseca presenza, dell’esperienza del soggetto che percepisce è un fattore di cui nessuna spiegazione della natura della coscienza sembra tener conto. La posizione di Chalmers ha punto sul vivo molti filosofi, lasciando intendere che nella coscienza succede qualcosa di più di una semplice serie di calcoli. Ma che cos’è quel “di più”? Alcuni ricercatori riconoscono che si tratta di un problema reale, ma lo considerano insolubile, altri propongono delle spiegazioni. Queste soluzioni includono possibilità che proiettano eccessivamente la mente sulla materia. La coscienza potrebbe, per dire, essere un esempio dell’emergere nell’universo di una nuova entità non contemplata dalle leggi che regolano le particelle. C’è anche la possibilità, più estrema, che una qualche forma rudimentale di coscienza debba essere aggiunta alla lista delle cose, come la massa o la carica elettrica, di cui è fatto il mondo. Indipendentemente dalla direzione che potrebbe prendere quel “di più”, la democrazia irrisolta delle interpretazioni della meccanica quantistica significa che è improbabile che la nostra attuale comprensione della materia arrivi da sola a spiegare la natura della mente. Anzi sembra molto probabile il contrario. Anche se continuano a desiderare la sobrietà e la concretezza, i materialisti dovrebbero ricordare l’avvertimento del poeta statunitense Richard Wilbur: “Prendi a calci la pietra, Sam Johnson, rompiti un osso, / ma nebulosa resta la natura del sasso”.

 L’AUTORE Adam Frank insegna astrofisica all’università di Rochester, negli Stati Uniti. Il suo ultimo libro è About time: Cosmology and culture at the twilight of the Big bang
(Oneworld 2013).