lunedì 4 settembre 2017

internazionale 2.9.17  
Il Cremlino mette il bavaglio alla rete
La Russia sta approvando una serie di leggi per il controllo del web. Il motivo ufficiale è la lotta al terrorismo, ma il vero obiettivo è chiudere l’ultimo spazio di comunicazione libera rimasto nel paese
di Isabelle Mandraud, Le Monde, Francia 

Il 26 agosto, sotto la stretta vigilanza della polizia, alcune centinaia di persone hanno partecipato a Mosca a una manifestazione, autorizzata, per chiedere un “internet libero”. Undici manifestanti sono stati fermati dalla polizia. A questo eterogeneo assembramento, riunito da piccoli partiti di opposizione, nazionalisti e liberali, sotto lo slogan “La Russia sarà libera!”, hanno preso parte soprattutto giovani, che hanno protestato per la seconda volta in tre mesi contro il controllo sempre più rigido esercitato dallo stato sulla rete. In Russia le leggi per controllare il web si stanno moltiplicando, una tendenza in contraddizione con quello che Putin ha dichiarato il 20 agosto in un incontro con un gruppo di giovani in Crimea. In quell’occasione il presidente ha esortato la “comunità dei creativi a stabilire essa stessa dei filtri morali ed etici” per la rete, “se non per escludere completamente l’influenza dello stato in questo campo, almeno per limitarla”. L’ultima legge in ordine cronologico è stata adottata dal parlamento russo alla fine di luglio, e vieta di usare le vpn (reti virtuali private, che consentono di aggirare la “lista nera” dei siti bloccati in Russia), e altri strumenti che permettono di navigare in modo anonimo. Ma la norma, che dovrebbe entrare in vigore il 1 novembre, è stata definita “una follia assoluta” e una “misura persecutoria, semplicemente censura” da Dmitrij Mariničev, il difensore civico nominato dal governo per le questioni che riguardano internet. La lista nera Un’altra legge, adottata alcuni giorni prima e destinata a entrare in vigore il 1 ottobre, permette di aggiungere automaticamente alla “lista nera” stilata dal Cremlino i mirror, cioè le copie dei siti vietati. Infine, a partire dal 1 gennaio 2018, un’altra legge, anche questa approvata alla fine di luglio, obbligherà tutti gli utenti dei servizi di messagistica, come WhatsApp, Viber o Messenger, a identificarsi con il proprio numero di telefono. Queste misure si aggiungono al cosiddetto “pacchetto Jarovaja”, una serie di norme contro il terrorismo presentate dalla deputata Irina Jarovaja e approvate nel 2015, che costringono le aziende del web e di telecomunicazioni a conservare sul territorio nazionale per un certo periodo di tempo i dati degli utenti e i contenuti delle loro comunicazioni. Secondo l’associazione RosKomSvoboda, in Russia dal 2012 sono già stati bloccati 82.890 siti internet. Il Cremlino spiega che il motivo di questa stretta è la lotta al terrorismo. Tuttavia, l’interpretazione molto ampia che le autorità danno al termine “estremismo”, il fatto che nel 2018 si voterà per le presidenziali e, soprattutto, il seguito che il blogger e oppositore Aleksej Navalnyj si è costruito su internet, fanno pensare che le vere motivazioni siano altre. “Il governo russo controlla la maggior parte dei mezzi d’informazione tradizionali, ed è evidente che le autorità considerano gli utenti della rete una minaccia da eliminare”, afferma Yulia Gorbunova, che si occupa di Russia per l’ong Human rights watch. Intanto si stanno delineando le prossime mosse del Cremlino. Alla duma, la camera bassa del parlamento russo, è stato depositato un progetto di legge che punta a limitare al 20 per cento la partecipazione estera nelle aziende di telecomunicazione, come era stato deciso per giornali, radio e tv nel 2014.