Il Sole Domenica 3.9.17
Artisti & fede
All’anima di Michelangelo
Un libro indaga la complessa religiosità michelangiolesca, e allarga il campo a iconografia e Riforma
di Giulio Busi
È
nell’orto di casa, la notte è serena. Prega. Quando alza gli occhi, nel
cielo c’è una stella. Grande, enorme, con tre code. Il raggio d’oriente
ha colore dell’argento. O forse è una spada lucente, torta alla sommità
come un uncino? L’altro raggio, quello che si proietta su Roma, è
vermiglio come il sangue. Il terzo strale s’incunea tra settentrione e
occidente. È così lungo che arriva di sicuro fino a Firenze. In cima si
biforca, ed è infuocato. Lui corre in casa, prende un foglio, torna
fuori nell’orto, butta giù un’immagine. Disegnare è il suo mestiere.
Vorreste
vederlo, questo schizzo misterioso? Il frate Benedetto Luschini, che ha
raccontato tutta la storia, ci indica dove andare: «Se pure tu ti
contenti di vederlo, va et truova el decto scultore, che al presente si
truova et lavora in Firenze. Et lui benignamente ti mostrerrà la cosa,
et humilmente ti dirà la verità del tucto, et così resterai satisfacto
et troverrai che io non t0ho decto alcuno mendacio». Chi è lo scultore?
Ha un nome facile da ricordare. Michelangelo.
Frate domenicano,
grande sostenitore di Girolamo Savonarola, Luschini ha avuto guai con la
giustizia. Mentre scrive, s’è già fatto un bel po’ d’anni di prigione
per un omicidio, sembra preterintenzionale. È autentica la storia della
stella, e il disegno, lo ha visto davvero? Sappiamo così poco, sul mondo
interiore di Michelangelo, soprattutto durante la giovinezza e la prima
maturità, che ogni indizio è prezioso.
Attese e paura di
punizione celeste, speranze di trasformazione epocale. Le prediche
dell’ossuto Savonarola, Michelangelo le ha sentite con le proprie
orecchie, prima di partire per l’Urbe nel giugno 1496. Come quasi tutti i
fiorentini, ne è rimasto impressionato, esaltato, turbato.
Un’esaltazione di cui ancora si ricorderà nella vecchiaia, ma che non
gli ha impedito di starsene al sicuro a Roma, e di lavorare per
cardinali e banchieri, proprio mentre la stella di Savonarola, tanto più
fragile della cometa celeste, sale al dominio della città e poi cade a
precipizio, fino alla morte sul rogo.
La religione di Michelangelo
è un tema profondo e contradditorio come tutto l’uomo. Generoso e
taccagno, idealista e crudamente pragmatico, malinconico e ironico.
Della sua tendenza a dar credito a profezie e attese millenariste si
fanno beffe i familiari. E lui, permaloso, si risente: «Io non vo drieto
a favole e non sono però pazzo afacto chome voi credete», scrive
polemico, nel 1515, al fratello Buonarroto, che lo ha accusato di
lasciarsi prendere da «frati e favole».
Favole – se le vogliamo
chiamare così – ma quali? Al voluminoso dossier sulla religiosità
michelangiolesca, Ambra Moroncini aggiunge ora un'indagine su poesia,
iconografia e Riforma. La triade del titolo disegna il percorso di tutto
il libro. Spirituali, evangelici, luterani, eretici: le possibili
sfumature lessicali e storiche sono molte, ma il significato di fondo è
univoco. È la ricerca di un Michelangelo che, nascostamente, fra amici -
Vittoria Colonna, innanzitutto - o dietro il velo simbolico delle
proprie opere, è in polemica con la Chiesa del potere e della pompa ed è
lambito, o preso in pieno, dal grande vento che ha cominciato a
soffiare a Wittenberg, il 31 ottobre 1517, quando Lutero ha deciso di
proporre alla discussione pubblica le sue 95 tesi sulle indulgenze. E
poiché le date, per i visionari, contano, eccovi una coincidenza
importante. Il 31 ottobre 1541, per i vespri alla vigilia d’Ognissanti,
papa Paolo III inaugura, nella Cappella Sistina, il Giudizio Universale
di Michelangelo. Ottobre è il più crudele dei mesi? No, il più eretico.
Secondo Moroncini, dietro l’apoteosi di santi e dannati, tutti
egualmente svestitissimi, sotto la procace galassia di corpi che vortica
attorno al Cristo risorto del Giudizio sistino, vi sono le simpatie
evangeliche di Michelangelo, la sua polemica anti-ecclesiastica. Sulla
scorta del commento al Vecchio e Nuovo Testamento del luterano Antonio
Brucioli, s’ipotizza nel volume che i nudi vogliano rappresentare la
condizione di peccato, dal quale la sola fede può salvare e non l’umana
ipocrisia e le cerimonie esteriori della Chiesa. Vien da chiedersi se
sia questa l’unica spiegazione possibile per la fastosa, e provocatoria,
nudità del Giudizio. Che l’esibizione di carni desse ad alcuni subito
fastidio, è risaputo, giacché le prime critiche sono dello stesso 1541, e
provengono dall’ambiente di due potenti cardinali e futuri papi,
Marcello Cervini (Marcello II) e Gian Pietro Carafa (Paolo IV). Alla
fine, ma solo più d’un ventennio più tardi, la revanche copritiva avrà
la meglio, e all’ottimo allievo e amico di Michelangelo, Daniele da
Volterra, detto poi il Braghettone, verrà affidato il compito di
stendere pietose pennellate pudiche. Non ci voleva però la Riforma
protestante per far dipingere sodi e sensuali corpi al Buonarroti. Già
qualche anno dopo l’affrescatura michelangiolesca sul soffitto della
Sistina, papa Adriano VI aveva storto il suo naso fiammingo, e aveva
definito la Volta, proprio per quelle pudende bene in vista, «una stufa
d'ignudi», o bagno termale che dir si voglia.
Perché, allora, i
nudi? E perché proprio nella cappella pontificia? È domanda religiosa
d’importanza. Quali le ragioni, oltre, naturalmente, alla coerenza
dell’artista, che comincia a scolpire nudi da ragazzo, nella Zuffa dei
centauri, e mai si ferma per tutta la sua lunghissima vita? Credo carnis
resurrectionem, dice il catechismo cattolico. Carnis, della carne, e
non in tunica e camicia. Ma anche a voler azzardare qualche fonte più
particolare, basta prendere una predica, tenuta nel Duomo di Firenze
durante l’Avvento del 1493 (Michelangelo è quel giovanotto in fondo, tra
la folla?) e poi pubblicata in volgare: «Nella resurrettione noi saremo
nudi et semplici, cioè spogliati di queste superfluità del mondo». Chi è
il predicatore? Ha un nome facile da ricordare. Savonarola.
Ambra
Moroncini, Michelangelo’s Poetry and Iconography in the Heart of the
Reformation , Routledge, London – New York, pagg. 171, € 122