il manifesto 3.9.17L’arte fragile di contare la realtà
Codici
aperti. La complessa e variegata biografia intellettuale del matematico
Alan Turing, dall’invenzione della macchina astratta alla sua morte,
descritta da Jack Copeland nel libro tradotto da Mondadori
di Teresa Numerico
Se
Alan Turing avesse saputo quanto successo gli avrebbe riservato la
storia a poco più di cento anni dalla sua nascita, forse non si sarebbe
così tanto affrettato a lasciare questo mondo poco prima di compiere
quarantadue anni, nel 1954. C’è una vera e propria «Turing mania», anche
se non tutti hanno veramente letto i pochi fondamentali articoli che ci
ha lasciato.
A giudicare dalla sua produzione scientifica
probabilmente se vivesse in Italia di questi tempi non avrebbe neanche
ottenuto l’abilitazione da professore associato. Secondo gli attuali
parametri avrebbe scritto troppo poco, molta letteratura grigia, priva
di un contesto prestigioso di pubblicazione e soprattutto, non sarebbe
stato chiaro a quale disciplina attribuire i suoi lavori: matematica,
logica, crittografia, computer science, intelligenza artificiale,
genetica matematica.
Anche l’Inghilterra del dopoguerra non fu
molto tenera con lui. Gli riservò un famoso processo per atti osceni,
legato alla sua omosessualità, di cui fu «reo confesso» per non mentire
in un’indagine su un furto subito che coinvolgeva uno dei suoi amanti.
Fu condannato a un anno di libertà vigilata e a un trattamento di
castrazione chimica basato sulla somministrazione di ormoni femminili.
Furono brutali con uno dei loro eroi di guerra. Turing aveva
decodificato a Bletchley Park l’Enigma Navale, una formidabile macchina
elettromeccanica tedesca per l’invio di messaggi criptati, considerata
indecifrabile.
UNO DEI PADRI del calcolatore, forse ne fu il
principale ideatore quando nel 1936 progettò una macchina astratta il
cui modello costituì il disegno teorico che ispirò, poco meno di dieci
anni dopo, il calcolatore elettronico a programma memorizzato, cioè il
computer.
La complessa e variegata biografia intellettuale di
Turing dall’invenzione della macchina astratta alla morte viene
descritta con grande precisione ed eleganza da Jack Copeland – uno dei
suoi massimi esperti mondiali– in un libro dal semplice titolo Turing,
appena tradotto in italiano (Mondadori, pp.334, euro 24).
Il
capitolo finale investiga sulla sua morte misteriosa archiviata come
suicidio per aver ingerito una mela avvelenata dal cianuro. La scomparsa
di Turing sollevò dubbi fin dal principio; sua madre Sara scrisse una
biografia del figlio alla fine degli anni Cinquanta per contestarne il
suicidio, considerato da lei una tragica fatalità: la conseguenza di un
esperimento chimico conservato in frigo che avrebbe poi inavvertitamente
avvelenato la mela.
Ma potrebbe anche essersi trattato di un
delitto. Turing conosceva molti segreti dai tempi del lavoro come
crittografo durante la guerra e veniva sicuramente sorvegliato
dall’intelligence inglese, e sospettato di un possibile tradimento a
causa delle sue tendenze omosessuali. Potrebbe essere stato avvelenato o
indotto al suicidio. Un uomo tanto intelligente e insieme fragile,
impossibilitato a vivere liberamente la propria sessualità nella
pruriginosa e puritana società inglese.
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IL
TEMA dell’orientamento sessuale deve aver giocato un ruolo importante
nel progettare uno dei più famosi metodi per scoprire se le macchine
potessero essere considerate intelligenti. Il Test di Turing, o gioco
dell’imitazione, come lo chiamò Turing in un suo articolo del 1950, si
proponeva come un metodo per mettere alla prova le macchine e scoprire
se fossero capaci di farsi scambiare per esseri umani.
L’idea
consisteva nel riprodurre il gioco dell’imitazione in cui un uomo e una
donna nascosti dovevano rispondere alle domande dell’intervistatore.
L’uomo doveva mentire, la donna dire la verità e l’intervistatore doveva
scoprire il sesso dei partecipanti. Al posto dell’uomo, nel gioco
proposto da Turing, doveva essere messa la macchina, che avrebbe cercato
di ingannare l’intervistatore in modo da fargli credere che fosse
umana.
Se un intervistatore inesperto di macchine sbagliava almeno
nel 30% dei casi allora era possibile sostenere che la macchina avesse
superato il test. Il libro di Copeland rende conto, attraverso una
dettagliata discussione, del gigantesco dibattito intorno al
funzionamento e alla discussione sull’efficacia e sul significato del
Test di Turing per l’intelligenza meccanica.
TURING non aveva in
mente di fornire una definizione operativa di cosa significhi
intelligenza – è questa la tesi condivisibile di Copeland.
L’idea
di Turing, espressa in diverse occasioni, non solo nell’articolo del
1950, era che sarebbe stato inutile cercare di definire esplicitamente
cosa fosse l’intelligenza per poi attribuirla alle macchine nel caso
possedessero quelle caratteristiche.
Ciò che consideriamo
intelligente dipende non solo dalle caratteristiche dell’agente che
prendiamo in esame, ma anche e soprattutto dalla disposizione e dal
posizionamento di chi investiga, dalle sue competenze e dalle credenze
che condivide con la società. Quindi la tesi di Turing era che in
cinquant’anni da quel momento (ma in un’intervista alla Bbc dell’anno
successivo propose di aumentare la soglia a cento anni) le persone
avrebbero modificato così tanto la propria idea di intelligenza da
includere le macchine tra i soggetti a cui attribuirla.
IL SISTEMA
domanda e risposta era stato scelto non tanto per investigare sulle
capacità della macchina ma su quelle dell’interrogante. Durante il 1939
Turing aveva seguito le lezioni di Wittgenstein sui fondamenti della
matematica. Sebbene nel corso delle lezioni i due uomini si trovassero
spesso in disaccordo, è possibile che il pensiero del filosofo austriaco
avesse spinto Turing a riconoscere che la capacità linguistica fosse
l’unica sulla quale basare la comprensione dell’intelligenza
dell’interlocutore. Secondo Wittgenstein non c’è un modo per penetrare
nell’interiorità di un altro essere umano, si può però riscontrare di
condividere con l’altro parlante comuni abitudini espressive e giochi
linguistici che ci inducano a ritenere che l’altro partecipi alla nostra
stessa forma di vita (Lebensform). Il test linguistico, al sicuro
dall’incontro in carne e ossa per la macchina, le avrebbe permesso di
trarre in inganno l’interlocutore, facendogli credere di maneggiare i
suoi stessi giochi linguistici e, quindi, una forma di vita comune.
La
tesi interessante di Turing sull’intelligenza come caratteristica
definita socialmente, frutto di una decisione collettiva e soprattutto
dipendente dalle competenze dell’interlocutore è cruciale anche per
interpretare quello che sta succedendo attualmente con il grande
successo delle applicazioni dell’intelligenza artificiale in molti campi
della conoscenza. Questo spiega anche l’importanza di Turing e
l’interesse che la sua biografia intellettuale ancora suscita in noi:
l’inventore dell’intelligenza macchinica ci parla da visionario del
presente.
LO SCENARIO in prospettiva è descritto in un film come
Lei (Her, diretto da Spike Jonze, 2014) in cui il protagonista Theodore,
un uomo sensibile che per lavoro scrive lettere d’amore, piene di
affetto, per conto di clienti ormai incapaci di esprimere i propri
sentimenti ai loro cari, s’innamora, dopo un divorzio, di un sistema
operativo dotato di un assistente virtuale «Samantha», che ha la voce
sensuale di Scarlett Johansson, un piccolo inganno della macchina.
Ma
senza scomodare la fantascienza possiamo pensare a come noi
interroghiamo Siri di Apple, Cortana di Microsoft, Alexa di Amazon Echo,
o l’assistente di Google home. Da un sondaggio condotto da Comscore sul
primo trimestre del 2017, risulta che il 60% del campione di coloro che
negli Stati Uniti usano gli assistenti digitali, ammette di fare loro
domande generali. Grazie all’interfaccia vocale tendiamo a porre loro
domande di ogni genere, convinti che ci possano fornire le risposte che
stiamo cercando, senza pianificare nessun double-check per metterne alla
prova pertinenza e rilevanza.
La fiducia cieca predomina anche
nel caso dei servizi di GPS, come Google Maps: determinano la scelta dei
nostri itinerari di viaggio e persino i percorsi a piedi delle
passeggiate turistiche in città d’arte.
A sessantasette anni dalla
previsione di Turing abbiamo già modificato tanto la nostra idea di
intelligenza da essere trasformati e decisi a includere dispositivi
opachi, sul cui funzionamento poco o nulla sappiamo, nella lista dei
nostri consiglieri privilegiati. Tuttavia la fiducia negli assistenti
virtuali, nei Gps, negli strumenti a supporto della presa di decisione
nel business, tra breve, nelle macchine a guida autonoma è una scelta
politica sulle cui conseguenze dovremmo riflettere bene.
Purtroppo
il genio di Turing non può aiutarci a determinare il nostro
posizionamento politico e nemmeno una macchina: è nostra la
responsabilità della scelta.