Il Sole Domenica 3.9.17
I salariati del Medioevo
La condizione dei lavoratori dipendenti e a contratto nell’età di mezzo, attivi nelle campagne o nelle botteghe artigianali
di Gianluca Briguglia
L’attenzione
degli storici per il lavoro, i mestieri, i rapporti lavorativi nel
mondo medievale, sembrava essersi rarefatta negli ultimi decenni, almeno
se la confrontiamo con l’esplosione degli studi dagli anni ’60 agli
anni ’80. Ha pesato in questo il cambiamento di clima generale,
l’affermarsi di nuovi modelli storici e di nuove domande da porre al
passato in funzione della nostra idea del presente. Un corposo volume,
curato da Franco Franceschi, dell’università di Siena, ha l’ambizione di
rilanciare l’interesse per il concreto mondo del lavoro nel medioevo,
sulla base di metodi rinnovati e più avvertiti e di nuovi punti
prospettici. Il volume presenta una serie di contributi di sintesi di
vari specialisti su aspetti specifici del tema e ogni contributo è un
utile punto di partenza e stato dell’arte per chi volesse approfondirlo.
Questo non vuol dire che si tratti di saggi divulgativi da cui prendere
le mosse per farsi un’idea. Al contrario, si tratta di una lettura che
pretende attenzione. In molti casi lo stile di scrittura è quello felice
dell’ottimo manuale universitario (sia detto come apprezzamento), e i
vari contributi hanno però a volte la capacità di accendere l’interesse
anche del neofita. Forse il sottotitolo del libro non è dei più
azzeccati, perché non ne descrive esattamente la parabola concettuale,
che è più ampia e calibrata sugli aspetti storici e sociali, ma anche
sulle rappresentazioni del lavoro. Si tratta insomma di un volume
consigliabile a ogni buona biblioteca universitaria e comunale.
Donata
Degrassi introduce trasversalmente alcuni dei grandi temi di indagine
capaci di informarci sul lavoro: il diritto, le pratiche contrattuali,
gli statuti cittadini e corporativi, senza dimenticare la riflessione
teologica. Paolo Cammarosano si concentra sull’alto medioevo, tra
Longobardi e Franchi, e sul lavoro nelle campagne, alludendo a vari tipi
di fonte. Il Colloquium, che è un dialogo didattico tra un maestro e
uno studente, ci fa gettare uno sguardo su quella campagna. Ne risulta
un mondo che pullula di contadini, bovari, uccellatori, pescatori,
pellai... Sono gli stessi secoli in cui il lavoro è oggetto di
riflessione e di pratica innovativa presso i monaci, come mostra Anna
Maria Rapetti. La regola valorizza il lavoro manuale e quello
intellettuale, orientando anche le rappresentazioni e l’immaginario di
chi non è monaco. Saranno più tardi i Certosini e i Cistercensi a
elaborare un’organizzazione complessa del lavoro, garantendo le diverse
vocazioni, spirituali e contemplative, o manuali e organizzative, di
monaci e conversi e riprogettando lo sfruttamento dei territori.
Soprattutto le attività lavorative della città (che Claudio Azzara
studia nelle sue evoluzioni istituzionali e normative altomedievali) e
la campagna (indagata per lo stesso periodo da Paolo Nanni) sono i
grandi poli della ricerca. Vasco La Salvia utilizza le tombe dei
lavoratori del metallo come fonte per comprenderne il lavoro e lo
statuto sociale. Le tombe infatti contengono a volte i loro strumenti e
danno indicazioni sulla centralità del loro ruolo ad esempio presso i
Longobardi. Francesco Panero fa il punto sul lavoro non libero, urbano e
rurale, il lavoro dei servi. Le tipologie sono davvero molte e
sorprendenti: servi prebendari, servi casati, prestatori di corvées,
manenti, ascrittizi, villani... Tra i secoli XI e XV il paesaggio
italiano cambia, anche quello delle campagne dell’Italia contadina di
cui parla Gabriella Piccinni. La popolazione italiana dall’XI al XIII
secolo passa da 5,2 a 12,5 milioni e forse il ronco, l’attrezzo agricolo
che serve a disboscare, cioè a fare spazio alla coltivazione perché
questi milioni di abitanti si nutrano e a ricavare legname perché si
scaldino, può essere uno dei simboli di questa rivoluzione. Nello stesso
tempo l’uso su vasta scala dell’energia idraulica consente un notevole
sviluppo di artigianato e industria, lo spiega Andrea Barlucchi. Nascono
i mulini per pestare i panni, una delle fasi di lavorazione più
delicata, che fanno il lavoro che 50 persone facevano con i piedi. Un
macchinario idraulico simile batte i metalli con i magli, altri fanno
soffiare i mantici, o segano il legno. Franco Franceschi approfondisce
lo sguardo sulle attività degli artigiani, calzolai, orefici, fornai,
sarti, che spesso sono indipendenti e sono proprietari della loro
bottega, capaci di investire sulla propria attività. Interessante la
relazione tra mercante e artigiano, che spesso conduce nel tempo a un
assorbimento dell’artigiano in un’organizzazione più ampia. Nelle città
italiane della lana, dove un panno lavorato necessita di decine di
operazioni i mercanti-imprenditori investono nell’attività produttiva
ingenti capitali e la trasformano, la riorganizzano. Sergio Tognetti
delinea con grande chiarezza la geografia delle attività lavorative
dispiegandone tipi e caratteristiche sui vari piani delle città
italiane, ed evocando anche un punto approfondito da Amedeo Feniello,
quello dei mestieri legati al mare. I porti aumentano e sono
infrastrutture da difendere, salvaguardare, sviluppare. Maestri d’ascia,
lavoratori specializzati nella pulizia dei fondali, costruttori di
macchine per l’estrazione di detriti dal mare, operai per chiuse e dighe
in porti fluviali, marinai e tecnici sono i protagonisti del mare e
delle sue rive. In un tessuto di questo tipo non stupisce allora che una
serie di professioni liberali, studiate da Roberto Greci, accompagnino
lo sviluppo della civiltà comunale. Giuristi, notai, maestri sono le
indispensabili e sempre più importanti figure del sapere laico e
cittadino. Certo non può essere dimenticato che le tensioni del lavoro e
il suo sfruttamento, ma anche la natura stessa di certi gruppi e
lavori, portano a volte al conflitto aperto e violento: lo documenta
Valentina Costantini, che evoca non solo la nota rivolta dei Ciompi, ma
anche il caso delle rivolte dei macellai.
Maria Paola Zanoboni
sottolinea invece il ruolo delle donne, che sono presenti in quasi tutte
le attività lavorative, che non sono escluse dalle corporazioni, che
sono pagate secondo le loro capacità e non necessariamente meno degli
uomini: alcuni luoghi comuni sembrano infrangersi. Maria Giuseppina
Muzzarelli indaga invece alcuni elementi simbolici del consumo, come
quello degli abiti. Vestirsi è un'attività simbolica e l’abito un bene
di consumo: esiste già nel XIII secolo una forma cosciente di
consumismo?
Storia del lavoro in Italia. Il medioevo. Dalla
dipendenza personale al lavoro contrattato , a cura di Franco
Franceschi, Castelvecchi, Roma,
pagg. 606, € 47