Il Sole Domenca 24.9.17
Russia 1917
La Rivoluzione genera tiranni
I
sovvertitori dei regimi sospendono le «libertà» e dichiarano
illegittima ogni opposizione in nome di un’eguaglianza che non arriverà
mai
di Michael Walzer
Libertà e uguaglianza sono
due tra i concetti più dibattuti del pensiero politico. Ma la relazione
tra i due non viene, a mio modo di vedere, sufficientemente discussa. È
opinione abbastanza comune che siano in conflitto o che, perlomeno, vi
sia tra i due una tensione tale che ogni società umana deve essere o più
libera o più egualitaria. La spiegazione che sta dietro un conflitto di
tale natura ha due varianti, una di sinistra e una di destra, e
ciascuna è in parte corretta ma principalmente sbagliata. Voglio
cominciare dalla versione di sinistra, che è stata enunciata molto,
troppo spesso, nella storia delle politiche rivoluzionarie. È
particolarmente importante, per il progetto politico che sostengo,
convincervi che la versione di sinistra secondo cui libertà ed
eguaglianza sono incompatibili è davvero sbagliata.
Prendo spunto
da una frase di Albert Camus, che credo sia tratta da L’uomo in rivolta:
«Il grande avvenimento del Ventesimo secolo è stato l’abbandono da
parte dei movimenti rivoluzionari dei valori della libertà». Una frase
potente. Aggiungerei: non soltanto del Ventesimo secolo, poiché i
Giacobini del Diciottesimo secolo sono stati il primo movimento
rivoluzionario ad abbandonare i valori della libertà. I movimenti
rivoluzionari hanno prodotto, e l'hanno fatto in continuazione, regimi
tirannici, e li hanno sostenuti con la brutalità e il terrore. Com’è
possibile questo, dato il significato che noi (a sinistra) diamo alla
parola “rivoluzione”? Ci aspetteremmo una rinascita della libertà, così
come la creazione di una società di eguali. Ma la difesa della tirannia
da parte dei rivoluzionari inizia con la convinzione che queste due
aspettative non vadano assieme. Conosciamo tutti quest’argomentazione;
alcuni di noi, ne sono certo, l’hanno espressa una volta o l’altra,
perché ci sono sempre stati molti difensori, o apologeti, di varianti di
sinistra della tirannia e del terrore. Il potere costituito, che si è
trincerato, la forza delle strutture gerarchiche, la lunga storia di
deferenza da un lato e arroganza dall’altro; tutto ciò può essere
sfidato solamente - così vuole questa argomentazione - schierando
l’ariete di uno Stato forte, in pratica di uno Stato tirannico. Parliamo
di uno Stato che travolge tutti i vincoli legali e costituzionali del
vecchio regime, che rimanda l’adempimento alle promesse della
rivoluzione, che ritira la chiamata alle urne o consente a un solo
partito di esprimere candidati, e che poi incarcera i compagni che
denunciano quanto sta accadendo - tutto questo sulla strada per
raggiungere l’uguaglianza. Al contrario - così prosegue il ragionamento -
gli uomini e le donne preoccupati per la tirannia, i progressisti che
non alzano la voce e i timidi socialdemocratici non riusciranno mai a
creare una società di uguali. Manca loro quella rozza energia e la
necessaria brutalità. Non faranno che scendere a compromessi,
all’infinito, e non riusciranno mai a raggiungere la trasformazione
radicale che fingono di auspicare. Servirà un’avanguardia determinata,
un Leader Maximo, per distruggere il vecchio ordine sociale.
In
questa accezione, l’eguaglianza richiede la sospensione (che sempre si
vorrebbe temporanea) delle “libertà borghesi” quali la libertà di
parola, di assemblea e il diritto di opposizione. Una volta che la
rivoluzione ha inizio, la regola diventa: ogni opposizione è
controrivoluzionaria. Un visitatore di Cuba nel 1960, poco dopo la
rivoluzione, illustrò così questa regola: «Le carceri sono state
riempite di prigionieri politici, e il governo insiste che il popolo
dev’essere “limpido”, e cioè, al 100% favorevole a tutto ciò che esso
fa». L’insistenza su questo tipo di “limpidezza” è un luogo comune
rivoluzionario.
Un altro argomento si collega a questo, e forse ne
è il fondamento. Il raggiungimento dell’uguaglianza non può essere il
risultato di una campagna politica che rispetti la libertà democratica
perché il demos, il popolo, non capisce ancora il valore
dell’uguaglianza; molti non riescono a immaginarsi come uguali ai propri
padroni; non parteciperebbero alla campagna per l’uguaglianza. A dire
il vero, sono capaci di occasionali rivolte, come nelle jacqueries
medievali, guidati da un lampo di consapevolezza: «Quando Adamo zappava
la terra ed Eva filava, chi era allora il padrone?». Ma più spesso, è
fin troppo chiaro chi siano i padroni. La classe lavoratrice è cresciuta
in un mondo gerarchico; è abituata alla routine e conosce il linguaggio
della gerarchia; le è stato insegnato che la disuguaglianza è naturale,
risponde all’ordine divino; è divenuta un aspetto della sua vita
quotidiana. I lavoratori sono vittime della “falsa coscienza”.
La
teoria della falsa coscienza sta alla radice dell’argomento a favore del
governo dell’avanguardia, perché ciò che la distingue e le dà la
capacità di prendere il potere e governare senza opposizione è appunto
l’essere in possesso di una vera coscienza.
È la fiducia prodotta
dal conoscere la verità sulla storia e sulla società a dare
all’avanguardia la determinazione necessaria per scardinare l’ordine
esistente, utilizzando tutta la forza utile a tale scopo. Non vi
descriverò come le avanguardie vengono incorporate o rimpiazzate dai
Leader Massimi; di fatto, sono entrambe versioni molto simili al governo
della tirannia. Piuttosto, voglio domandarvi: ma governanti di questo
tipo sono davvero necessari, o quantomeno utili, al raggiungimento
dell’uguaglianza?
Come probabilmente vi aspettate, sosterrò che in
effetti non sono né l’una né l’altra cosa. Ma per argomentare ciò non
mi concentrerò sul fatto che le avanguardie e i Leader Massimi, nel
lungo periodo, non ci conducono all’uguaglianza (anche se è vero).
Intendo piuttosto affermare che ci portano all’immediata realizzazione
della disuguaglianza. Ammetto che “immediata” potrebbe essere un termine
troppo forte. Spesso c’è un momento di gioia rivoluzionaria in cui
ciascuno è cittadino o compagno. «Era una benedizione esser vivi in
quell’alba», scrisse William Wordsworth nel 1789, «ma esser giovani era
un paradiso». Ad ogni modo, la benedizione di Wordsworth non è durata a
lungo, e il momento del cameratismo è breve. Rapidamente sono subentrate
nuove strutture gerarchiche e burocrazie rivoluzionarie. Voglio
sostenere che queste sono conseguenze naturali e inevitabili della
sospensione della libertà politica.
La prima disuguaglianza di un
regime rivoluzionario è quella della conoscenza; i nuovi governanti sono
depositari delle «posizioni ideologiche corrette», e ai governati
dev’essere insegnato cosa pensare. Pertanto tutti i mezzi di
comunicazione e di istruzione devono essere confiscati e affidati a
coloro che sono “limpidi” rispetto alla linea ufficiale. Ma la più
grande disuguaglianza è quella del potere politico: i governanti hanno
un potere soverchiante e i governati sono impotenti. Ugualmente
impotenti: qui devo riconoscere l’effetto livellante della tirannia
rivoluzionaria. Il tiranno, o l’avanguardia, insieme ai nuovi
apparatchik, dominano una massa di donne e uomini spogliati di ogni
potere.
Posso anche concedere che il regime rivoluzionario poiché
è, dopo tutto, un regime di sinistra, migliori le condizioni dei membri
più poveri della società. I governanti populisti dell’America Latina
hanno promosso opere pubbliche, innalzato i salari minimi e investito
denaro nei sussidi alimentari e per la casa – finché i soldi non sono
finiti; dopodiché, i poveri tornano poveri ancora una volta, e i Leader
Massimi rimpiazzano la generosità con la repressione. Le dittature
comuniste dell’est Europa avevano istituito un welfare state di base,
pur prevedendo privilegi per i membri del partito; avevano garantito la
sicurezza del posto di lavoro, in fabbriche comunemente dirette da
militanti di partito incompetenti. In nessun caso agli operai veniva
permesso di costituirsi in sindacati indipendenti o in partiti politici
per difendere i loro interessi così come li intendevano.
L’immediata
istituzione della disuguaglianza politica è evidente a occhio nudo (per
chi sia disposto a osservare), ma di rado se ne discute nella
letteratura rivoluzionaria, che si concentra sulla disuguaglianza
economica e sociale. Potrebbe essere vero che solo i governanti con
poteri assoluti possono abolire i privilegi aristocratici e confiscare e
ridistribuire la ricchezza capitalistica. Con una serie di decreti
imposti brutalmente, possono cancellare il feudalesimo; possono
socializzare l’economia capitalista e destinare fondi ai più poveri dei
poveri. A quel punto -Marx ci insegna- dovremo per forza trovarci sulla
strada giusta verso una società di uguali, perché la disuguaglianza
politica non è che il riflesso di quella economica; se si abolisce
l’una, l’altra cadrà. Se impieghiamo il potere statale per creare
l’uguaglianza economica, ciò nel tempo porterà all’estinzione dello
Stato. Ma se è questo ciò in cui Marx davvero credeva, si sbagliava
terribilmente, come abbiamo già avuto modo di scoprire molte volte.
La
disuguaglianza politica è, per così dire, indipendente, autonoma, e
creerà sempre e immancabilmente nuove disuguaglianze in tutto l’ordine
sociale.
Queste nuove disuguaglianze saranno sempre più difficili
da superare a causa della pretesa del regime rivoluzionario di avere
quella peculiare legittimazione che viene dal vero sapere – e anche dal
suo supposto impegno a usare quel sapere per creare una società di
uguali. «Il compito dell’intellighenzia – ha scritto Lenin - è rendere
non necessari i leader dell’intellighenzia stessa». Ma una volta che gli
onniscienti intellettuali si sono dichiarati necessari al “compito” di
rendere se stessi non necessari, è molto difficile persuaderli che il
loro compito è stato svolto, e che non c’è più bisogno di loro. Si
aggrappano al potere esattamente come avevano fatto i loro predecessori.
E a coloro tra noi che si sono opposti al regime, che si sono rifiutati
di essere “limpidi”, non verrà riconosciuta alcuna credibilità. Presto
diventeremo dei “dissidenti”, costretti a nascondersi dalla polizia
segreta. E questa è una condizione di disuguaglianza molto pericolosa.
– traduzione di Stefano Ignone