Il Sole 2.9.17
Se la Cina diventa leader nell’intelligenza artificale
di Adriana Castagnoli
La
tecnologia si sta rivelando il principale campo di battaglia per Cina e
Usa. Pechino è stata esplicita in merito alle sue aspirazioni di
dominio tecnologico e sullo sforzo del governo cinese per diventare
leader globale in campi d’avanguardia come auto elettriche, intelligenza
artificiale, robotica e altre cruciali tecnologie del futuro.
La
Cina ha accelerato lo sviluppo di questi settori iniettando enormi
risorse pubbliche. Con il piano “Made in China 2025”, punta alle
industrie globali a rapida crescita che possono creare milioni di posti
di lavoro ben retribuiti per una generazione di giovani cinesi dotati di
una formazione sempre più sofisticata.
Il trasferimento di
tecnologia diviene perciò una questione nevralgica, da un lato, per gli
obiettivi di sviluppo di Pechino e, dall’altro, per la difesa e la
sopravvivenza dell’industria occidentale. Ma, nel momento in cui
l’amministrazione Trump si muove per affrontare la Cina sulle violazioni
della proprietà intellettuale e il trasferimento di tecnologia - e
anche in Europa si cerca di individuare misure per tutelare l’industria
innovativa - Washington scoprirà di avere poche munizioni. Perché le
regole del commercio mondiale potrebbero favorire la Cina.
Le attuali
frizioni in materia di scambi risalgono all’amministrazione Clinton.
Quando la Cina entrò nella Wto nel 2001, i negoziatori americani
concessero a Pechino una certa libertà d’azione, una posizione che più
tardi fu supportata anche dall’amministrazione di George W. Bush. Come
Paese in via di sviluppo, alla Cina fu permesso di limitare l’accesso al
suo mercato per le compagnie americane che non fossero impegnate in
joint venture con partner locali. Pechino promise di togliere tali norme
man mano che la sua economia fosse divenuta matura. Ma non lo ha fatto.
Così, adesso a Washington e Bruxelles si cerca di correre ai ripari e di chiudere la stalla quando i buoi sono scappati.
La
capacità della Cina, specialmente nelle nuove tecnologie, è stata a
lungo indietro rispetto a quella delle economie avanzate in Europa e
America. Alcuni decenni di sviluppo industriale per raggiungerle hanno
pagato il loro dividendo, specialmente nelle tecnologie d’avanguardia.
Ma la partnership tecnologica con Pechino è assai problematica e
rischiosa.
Il punto è che, quando si ha a che fare con uno Stato
autocratico e che non è un’economia di mercato, come la Cina, si
dovrebbe avere la visione strategica di considerare anche il potenziale
distruttivo per l’Occidente, il suo sistema di valori e del diritto che
esso può comportare. Si prenda il caso dell’intelligenza artificiale che
dominerà il futuro. Pechino ha predisposto un piano per divenire il
leader mondiale della AI entro il 2030, mirando a superare i suoi
competitor e a creare un’industria nazionale che valga almeno 150
miliardi di dollari. Secondo alcune fonti, la Cina ha già più dei 2/5
degli scienziati esperti in AI del mondo; il numero dei brevetti in
questo campo è cresciuto del 200% negli ultimi anni, anche se gli Usa
sono ancora primi.
Se la Cina riesce nell’intento, il futuro della
intelligenza artificiale mondiale sarà concentrato in gran parte nei
laboratori del Dragone. E Pechino avrà in mano le chiavi per essere una
grande potenza economica. Con i suoi 1,4 miliardi di abitanti e 730
milioni di persone connesse al web, la Cina genera dati più di qualunque
altro Paese. Un enorme volume di informazioni che costituiscono il più
importante ingrediente della intelligenza artificiale perché consentono
alle macchine di imparare. Senza dire che Pechino è già leader in campi
strategici per la sicurezza nazionale come le tecnologie per la
trasmissione quantistica (ossia, di messaggi cifrati inviolabili), e
nella fabbricazione di droni che sono stati usati pure dall’esercito
Usa.
La questione è che l’intelligenza artificiale cinese
rispecchierà inevitabilmente l’influenza dello Stato. E Pechino è uno
Stato autocratico. Si parla di piani per la creazione di un “credito
sociale” che attribuirebbe valutazioni ai cittadini in base al loro
comportamento. Lo scenario distopico di algoritmi che aiuteranno le
autorità a controllare il comportamento degli individui è più prossimo
di quanto non si pensi. Ed è realistico immaginare che questi algoritmi
vengano esportati come servizi a tutti gli Stati autoritari del mondo.
I
giganti del web occidentali, da Facebook a Google, non sono certo
incolpevoli nella manipolazione delle informazioni. Ma sono impegnati in
un dibattito aperto sulle implicazioni etiche della AI e sono limitati,
almeno in parte, dalle istituzioni democratiche. Se uno Stato
autocratico, come quello cinese, avrà il controllo sull’intelligenza
artificiale, esso ne sarà anche il maggior beneficiario.