il manifesto 9.13.17
La diplomazia segreta scrive le nuove alleanze in Medio Oriente
Medio
Oriente. Si rafforza l'alleanza dietro le quinte tra Israele e Arabia
saudita. Nei giorni scorsi un principe saudita, forse l'erede al trono
Mohammed bin Salman, avrebbe segretamente visitato lo Stato ebraico.
Profumo d'intesa anche tra gli ex nemici Hamas ed Egitto.
Re Salman dell'Arabia saudita assieme al figlio e principe ereditario Mohammed
di Michele Giorgio
In
Medio oriente si fanno due i tipi di diplomazia. Una alla luce del sole
e un’altra dietro le quinte. Nulla di nuovo in effetti ma non è mai
stato tanto evidente come in questo momento in cui si apprende di Paesi
nemici a parole e alleati negli stessi obiettivi. Il caso di Israele e
Arabia saudita fa scuola.
Un paio di giorni fa è girata la notizia
che l’erede al trono saudita, il potente principe Mohammed bin Salman,
avrebbe visitato Israele in segreto per discutere di strategie comuni in
Siria e nei confronti del “nemico” Iran. A riferire per primo
l’indiscrezione, mai confermata ufficialmente, è stato Simon Aran di
Radio Israele. Aran non è andato oltre un non meglio precisato «principe
saudita è giunto in Israele» mentre i media arabi hanno chiamato in
causa proprio Mohammed bin Salman. Immediata è partita la condanna della
visita da parte dei giornali legati al Qatar, pronti ad inserire
l’indiscrezione nella crisi lacerante, cominciata tre mesi fa, tra Doha e
Riyadh. Dall’Arabia saudita ha replicato il giornale Elaph che ha
smentito tutto aggiungendo che, in realtà, è stato un principe qatariota
e non saudita a trascorrere due giorni a Tel Aviv.
Comunque sia
andata, la settimana scorsa il premier israeliano Netanyahu non ha certo
sottolineato senza motivo che i rapporti attuali con gli Stati arabi
«sono i migliori di sempre nella storia di Israele» anche senza la pace
con i palestinesi. «Ciò che sta accadendo con loro – ha detto Netanyahu
durante una riunione al ministero degli esteri – non è mai avvenuto
neppure quando abbiamo firmato accordi. C’è cooperazione in vari modi e a
vari livelli, anche se ancora tutto non è palese». Da parte sua Aran ha
ricordato che quasi venti anni fa «c’erano rappresentanti arabi in
Israele, tra cui l’ambasciatore della Mauritania e rappresentanti del
Qatar, della Tunisia, del Marocco e dell’Oman» e che «un diplomatico
israeliano era stato inviato a Doha». Ma quella era la «pace di Oslo» in
cui israeliani e palestinesi negoziavano un accordo “finale”, che non è
mai arrivato, mentre oggi il governo più a destra della storia di
Israele raccoglie a piene mani consensi da Paesi arabi con i quali
tecnicamente sarebbe ancora «in guerra».
In questo vortice in cui i
nemici di un tempo ora si scoprono alleati, si sviluppa il rapporto tra
il movimento islamico Hamas e il regime egiziano di Abdel Fattah el
Sisi. Il Cairo è in guerra con i Fratelli musulmani, denunciati come una
«organizzazione terroristica». E «terroristi» per gli egiziani fino a
qualche tempo fa erano pure i Fratelli musulmani in Palestina, ossia
Hamas, accusato di contribuire alla destabilizzazione del Sinai,
mantenendo rapporti «ambigui» con le cellule armate filo-Isis che
operano nella penisola. Con una svolta a 180 gradi el Sisi ora intavola
trattative con Hamas che, da parte sua, ha spedito al Cairo il suo
leader Ismail Haniyeh e gran parte della sua direzione politica per
continuare il dialogo. La ragione dietro questa svolta sarebbe la
necessità per il Cairo di cooptare Hamas nella «lotta al terrorismo» e
di migliorare le condizioni di vita a Gaza. In realtà gli egiziani
puntano a scaricare il presidente dell’Anp, Abu Mazen, “ostacolo” per la
realizzazione di un piano volto a portare al comando il loro uomo, il
“reietto” Mohammed Dahlan, con l’appoggio di un Hamas addomesticato e
pronto a cooperare alla sicurezza del Sinai.
Sebbene si svolga
alla luce del sole invece non riceve sempre la dovuta attenzione la
diplomazia russa che pure si sta confermando il perno sul quale ruotano
le soluzioni per i focolai di crisi in Medio Oriente. La visita del
ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov, domenica scorsa a Gedda e il
suo viaggio due giorni fa ad Amman – a poche settimane dal precedente
tour in Kuwait, Emirati Arabi Uniti e Qatar – hanno rafforzato
ulteriormente la posizione di Mosca nella regione. Lavrov in Arabia
saudita ha affrontato il tema delle “zone di sicurezza” in Siria, frutto
dell’accordo tra Mosca, Ankara e Teheran sottoscritto a maggio ad
Astana, precisando che le aree «non saranno utilizzate per dividere il
paese in enclavi». Poi ha sottolineato che la Russia «sostiene
attivamente» gli sforzi dell’Arabia Saudita di riunire i gruppi siriani
di opposizione per rendere «più efficaci i colloqui» con i
rappresentanti del governo di Damasco. Da parte sua il ministro degli
esteri saudita Adel al Jubeir ha espresso soddisfazione per la posizione
russa “neutrale” sullo Yemen. E ieri a Mosca c’era il primo ministro
libanese e alleato degli Usa Saad Hariri.