il manifesto 8.9.17
Un urlo contro la complicità
di Tommaso Di Francesco
La
lettera d’accusa al piano migranti dell’Italia e dell’Ue inviata da
Joanne Liu e da Loris De Filippi, rispettivamente, presidente
internazionale e responsabile italiano di Medici Senza Frontiere (Msf),
sia a Bruxelles che al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni – che
negli stessi minuti vantava da Lubiana: «I risultati sull’immigrazione
si vedono nel senso della riduzione degli sbarchi e dei flussi» – non
appartiene a quelle rivelazioni che possono passare inascoltate.
Perché gridano, urlano una verità ormai incontrovertibile.
Il
titolo infatti di questo nuovo rapporto della Ong – la stessa che il
«Codice Minniti» ha messo all’indice mentre salvava vite umane nel
Mediterraneo – potremmo sintetizzarlo con le stesse parole di Msf: «I
governi europei complici nell’alimentare il business della sofferenza in
Libia».
Accusa Joanne Liu, reduce da un viaggio-inchiesta in
Libia di una settimana fa: «Il dramma che migranti e rifugiati stanno
vivendo in Libia dovrebbe scioccare la coscienza collettiva dei
cittadini e dei leader dell`Europa» che invece, «accecati dall’obiettivo
di tenere le persone fuori dall`Europa, con le politiche e i
finanziamenti europei stanno contribuendo a fermare i barconi in
partenza dalla Libia, ma in questo modo non fanno che alimentare un
sistema criminale di abusi».
Perché «la riduzione delle partenze
dalle coste libiche – denuncia Msf – è stata celebrata come un successo
nel prevenire le morti in mare e combattere le reti di trafficanti, ma
sappiamo bene quello che succede in Libia. Ecco perché questa
celebrazione è nella migliore delle ipotesi pura ipocrisia o, nella
peggiore, cinica complicità con il business criminale».
Ecco gli
abusi testimoniati: «Nei centri di detenzione di Tripoli le persone sono
trattate come merci da sfruttare. Ammassate in stanze buie e sudicie,
prive di ventilazione, costrette a vivere una sopra l’altra. Gli uomini
ci hanno raccontato come a gruppi siano costretti a correre nudi nel
cortile finché collassano esausti. Le donne vengono violentate e poi
obbligate a chiamare le proprie famiglie e chiedere soldi per essere
liberate. Tutte le persone che abbiamo incontrato – accusa la lettera-
dossier di Msf – avevano le lacrime agli occhi e continuavano
ripetutamente a chiedere di uscire da lì».
È la conferma del primo
reportage televisivo di Amedeo Ricucci per la Rai di un anno fa, di
quello della Reuters di questa estate, dei duri giudizi di Angelo Del
Boca e Alex Zanotelli, del viaggio a Sabhrata dell’Associated Press (e
di questi giorni della Frankfurter Allgemeine) che ha svelato come le
milizie di quella città (e delle altre, costiere e non), istruite,
finanziate e armate dai nostri servizi, cambino casacca. Diventando da
trafficanti le milizie di controllo della disperazione dei migranti,
gestendo volta a volta, viaggi micidiali a mare, traffici di esseri
umani, torture, stupri e centri di detenzione.
Ma che il j’accuse
di Medici Senza Frontiere non può stavolta essere nascosto e tacitato
nel silenzio del potere e dei media contigui, viene anche dalla stessa
Commissione europea, già in imbarazzo per quei reportage.
«I
centri d’accoglienza in Libia sono prigioni – dice la Commissaria Ue al
commercio Cecilia Malmstroem già in Libia nel 2016 – e le condizioni in
effetti sono atroci»; e anche Catherine Ray, portavoce di Federica
Mogherini (Mister Pesc) ammette: «Siamo consapevoli, le condizioni di
detenzione sono scandalose e inumane», ma l’Ue vuole «cambiare quelle
condizioni» è per questo che «Unhcr-Onu e Oim vengono finanziate con
180milioni di euro». Si danno la zappa sui piedi e non se ne accorgono.
La
risposta a questo patto criminale è stata finora in Italia una
vergognosa esaltazione dell’emergente ministro degli interni Marco
Minniti che sarebbe stato capace di convincere la cosiddetta Libia.
Ma
quale? Se quello Stato non esiste più e che sono almeno quattro le
parti in cui è divisa dopo la guerra della Nato, con interposti
conflitti tra centinaia di clan e fazioni armate.
Una capacità di
convinzione appoggiata col «patto di Parigi» anche da Germania, Francia e
Spagna. Che, per tenere lontano il misfatto occidentale, autorizzano in
Libia, in Ciad e in Niger l’istituzione di un sistema concentrazionario
di lager purché i disperati non arrivino in Europa. Con l’aggiunta
della «coperta di Linus» di un presunto controllo dei diritti umani da
parte dell’Unhcr e dell’Oim.
Per una fase temporale che
semplicemente dimentica di rispondere a questa domanda: che fine fa
adesso quel milione di migranti e profughi intrappolati in Libia, in
cammino nei deserti e senza più vie di fuga? L’importante è che la loro
tragedia sia nascosta nella sabbia.
Minniti, manco a dirlo,
ammirato a manca e più ancora a destra come astro nascente, ha trovato
in quella occasione una schiera di inaspettati elogiatori: Gabanelli,
Travaglio, Gramellini, ecc… E guai a criticarlo. Il presidente del Pd
Matteo Orfini ha tuonato: «Chi lo critica è una sinistra salottiera»; e
gli «antimperialisti» Pierferdi Casini e Nicola Latorre hanno
addirittura subodorato l’ingerenza Usa per il petrolio libico.
Siamo davvero curiosi di sapere che cosa dirà ora questo stuolo militante di ammiratori sulla pelle altrui.