il manifesto 7.9.17
Non possiamo essere pedine di questo gioco al massacro
Commenti.
Se l’emigrazione è così massiccia vuol dire che le minacce alla vita
sono insostenibili in gran parte del pianeta. Significa che la politica
deve cambiare. Anche a sinistra
di Tomaso Montanari
L’articolo
10 della Costituzione prescrive che gli stranieri che non possono
esercitare le «libertà democratiche garantite dalla Costituzione
italiana» hanno diritto ad essere accolti nel nostro Paese, in quanto
«persone» titolari, ai sensi del nostro articolo 2 della Costituzione,
di diritti inviolabili a prescindere dalla loro nazionalità o Paese di
provenienza.
Non è una vaga, utopica aspirazione, ma il cuore del
progetto della nostra Costituzione: «La Repubblica riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell’uomo (non solo dei cittadini
italiani, nda), sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si
svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».
È per
questo che in Italia esiste un «diritto costituzionalmente garantito»
all’asilo: non si può decidere se applicare o meno questa norma,
dobbiamo chiederne noi l’attuazione, insieme a quella di tutti i
principi che qualificano la nostra democrazia, e che ad oggi restano in
gran parte inattuati.
Eppure, in queste drammatiche settimane
estive, lo Stato italiano – attraverso il suo governo, e segnatamente il
suo ministro dell’Interno – non solo non ha attuato questo principio
fondamentale ma ha decisivamente scoraggiato le organizzazioni non
governative che soccorrevano in mare i migranti, e ha preso accordi con
le autorità di Paesi in cui non sono garantite le «libertà democratiche
garantite dalla Costituzione italiana», affinché i loro cittadini e i
migranti che ne attraversino i territori non possano fuggirne: cioè non
possano aspirare, come noi tutti, a una vita libera e dignitosa.
Siamo
di fronte a un grave tradimento della nostra Carta fondamentale e dei
Trattati e documenti internazionali che riconoscono e tutelano i diritti
delle persone e dei richiedenti asilo. Crediamo che di fronte alle
masse che lasciano la propria casa in cerca di diritti, di vita e di
futuro la risposta dell’Occidente non possa essere la chiusura e il
tradimento dei principi su cui si fondano le nostre democrazie.
Il
fenomeno migratorio non si fermerà di fronte al nostro egoismo. Anzi,
rischierà di degenerare in uno scontro di civiltà, già abilmente
fomentato da chi coltiva la guerra come forma di lucro e dominio sui
popoli, a prezzo del sangue dei più deboli e innocenti.
Non
possiamo, non dobbiamo, essere pedine di questo gioco al massacro.
Abbiamo un orizzonte diverso, che guarda al mondo come casa di tutti e
alla globalizzazione dei diritti, come fine dell’azione politica
internazionale di chi crede davvero nella democrazia e nell’universalità
dei diritti fondamentali.
Tutti i Paesi più ricchi, a partire
dall’Italia, devono garantire non solo l’accoglienza promessa delle
Carte, ma impegnarsi in una strategia condivisa a livello sovranazionale
che crei e garantisca ovunque le condizioni di eguaglianza e giustizia
sociale la cui assenza è la vera e prima causa della grande migrazione
in atto.
E anche sulla natura e le dimensioni di questo fenomeno
la Sinistra ha, innanzi tutto, il dovere di dire la verità: le
migrazioni sono processi fisiologici e costanti in un mondo
globalizzato, diventano massicce quando le minacce alla vita delle
persone diventano intollerabili, quando una parte del mondo vive in
condizioni disumane, o non vive affatto, e una piccola parte di
privilegiati vive con le risorse di tutti.
Ecco: questo egoismo
rischia di trasformarsi in un detonatore. Dobbiamo disinnescarlo. Anche
perché sui migranti si sta costruendo l’ennesima menzogna mediatica, che
devia l’attenzione dalle emergenze reali della politica, dalle cause
reali dei nostri problemi. Insomma: prima si è provato a dire che era
colpa della Costituzione. Sappiamo come è finita, il 4 dicembre scorso.
Ma ora i mali del Paese, le nostre vite precarie, il taglio orizzontale
di diritti e futuro: tutto è colpa dei migranti! Fumo negli occhi di una
politica che non sa cambiare e non vuole rimettere al centro le
persone, ma spera di «neutralizzarle» mettendo poveri contro poveri,
disperati contro disperati. Non ci siamo cascati il 4 dicembre, non ci
cascheremo adesso.
Anche perché la piccola parte di migranti che
sbarca sulle nostre coste rappresenta solo l’1% del flusso migratorio
globale. Fra questi, solo una piccola parte aspira a fermarsi in Italia:
non sono un’invasione, né un’ondata oceanica. Non rappresentano affatto
una minaccia, semmai una grande opportunità: umana, culturale e anche
economica.
Il nostro Paese, in drammatica crisi demografica, ha
bisogno di nuovi italiani. Le nostre antiche città aspettano nuovi
cittadini. E la perfino timida legge sullo ius soli in discussione in
Parlamento è davvero il minimo che si possa fare per costruire questa
nuova Italia.
Ecco: stiamo lavorando a un progetto condiviso che
permetta a questo Paese di risollevarsi e ripartire, in cui ci sia
lavoro vero per tutti, non elemosine e precarietà per pochi. Chi non si
ponga in questa prospettiva, chi non ambisca a creare le condizioni per
un «Nuovo Inizio» democratico, sociale ed economico, non ha capito qual è
il compito fondamentale della politica che vogliono gli italiani.
Ancora una volta: è di questi nodi cruciali che dobbiamo e vogliamo discutere, non della sterile alchimia di sigle e leader.
Continuiamo
a credere nella formula che abbiamo proposto al Brancaccio il 18 giugno
scorso: ci vuole una sola lista a sinistra del Partito Democratico – un
partito la cui involuzione a destra è apparsa, proprio sui temi
dell’immigrazione, palese.
Crediamo che anche la situazione della
Sicilia confermi questa lettura: mentre il Pd guarda a destra, la
sinistra cerca l’unità e la forza per proporre alternative radicali allo
stato delle cose.
Si apre un autunno cruciale: proseguono le
assemblee regionali, si moltiplicano quelle in città di ogni dimensioni,
si preparano quelle tematiche fissate per il fine settimana a cavallo
tra settembre e ottobre. Il loro formato è quello che abbiamo
sperimentato da giugno in poi: aperto a tutti (associazioni, partiti,
singoli cittadini) e senza dirigenze, egemonie o portavoce autonominati.
Decideremo
poi insieme, e democraticamente, in una grande assemblea nazionale che
sarà indetta alla fine del lavoro sul programma, il tipo di
organizzazione che vorremo darci.
Tutto questo è importante: ma è
solo un mezzo, uno strumento per metterci in grado di dare il nostro
contributo all’attuazione della Costituzione. Il primo traguardo da cui
ripartire per costruire un nuovo orizzonte di democrazia partecipata e
di cittadini liberi.