mercoledì 6 settembre 2017

il manifesto 6.9.17
La Colombia della pace
Il viaggio. Bergoglio arriva oggi a Bogotà per sostenere gli sforzi che mirano ad archiviare l’«amara realtà» della guerra. Ma la destra rema contro
di Claudia Fanti

È una Colombia attraversata da grandi speranze e profonde contraddizioni quella che papa Francesco si appresta a visitare da oggi al 10 settembre.
DOPO IL CESSATE IL FUOCO proclamato nel giugno del 2016 all’Avana tra il governo di Manuel Santos e le Farc, l’esito clamoroso del referendum del 2 ottobre (con la vittoria di strettissima misura del No all’accordo di pace) e la definitiva approvazione da parte del Congresso colombiano, il 30 novembre, della nuova intesa, al termine di quattro anni di faticosi e complessi negoziati, la Colombia prova a lasciarsi definitivamente alle spalle gli orrori di una guerra che è durata oltre 50 anni ed è costata la vita a 220mila persone (di cui oltre 170mila civili).
E se il papa viene a esprimere il proprio sostegno a tale processo, l’estrema destra dell’ex presidente Álvaro Uribe, del clero ultraconservatore e delle Chiese evangeliche (oltre che dei latifondisti e dei narcotrafficanti, cioè di chi coloro per cui la guerra si è rivelata un affare estremamente redditizio), dopo aver tentato in tutti i modi di minare il processo di pace, oggi non fa nulla per nascondere il proprio disappunto di fronte alla visita di chi, sulle reti sociali, viene definito «comunista», «falso profeta» e «protettore di froci e terroristi».
L’ESTREMA DESTRA non dimentica le parole pronunciate dal papa in occasione del referendum, quando aveva espresso la propria volontà di recarsi in Colombia una volta che l’accordo fosse stato «blindato». Così, Fernando Londoño, presidente onorario del partito uribista Centro Democratico, chiede polemicamente: «Perché questa visita? Viene a fare il pastore o a dare il proprio appoggio agli accordi di Manuel Santos con una guerriglia marxista-leninista e anti-cattolica?».
IN REALTÀ, L’UNICA GUERRIGLIA che ancora resta nel Paese è l’Eln, l’Esercito di liberazione nazionale, e anche questa già impegnata nei negoziati con il governo a Quito. Le Farc sono ormai diventate un partito politico a tutti gli effetti, superando anche il difficile momento seguito all’esito del referendum, quando, se non avessero ceduto abbastanza, sarebbero state accusate di porre i propri interessi al di sopra di quelli del Paese; e, se avessero ceduto troppo, avrebbero rafforzato la posizione di Uribe e soprattutto rischiato di scontentare la base guerrigliera. Alla fine, per rendere possibile la nuova intesa, di concessioni la guerriglia ha dovuto farne diverse, per esempio sul versante della riforma agraria, della prospettiva di genere, dei reati soggetti ad amnistia, dei finanziamenti a cui avrà diritto come partito, ma senza cedere su un punto cruciale: l’eleggibilità politica degli ex combattenti e della garanzia, nei due periodi legislativi successivi all’accordo, di ottenere 5 seggi alla Camera dei Deputati e 5 al Senato. Un piccolo capitale a partire da cui l’ex guerriglia dovrà riuscire nell’impresa di convincere una società tradizionalmente ostile e oggi profondamente diffidente.
Guerriglieri delle Farc “in transizione”
CON LA CONSEGNA DELLE ARMI ufficializzata nello storico congresso concluso il 1° settembre, le Farc non hanno voluto perdere lo storico acronimo, ma hanno comunque cambiato nome: non saranno più le Forze armate rivoluzionarie della Colombia, bensì la Forza alternativa rivoluzionaria della Comunità, il cui simbolo è una rosa rossa con una stella a cinque punte al centro. L’obiettivo è rimasto quello indicato dai fondatori 53 anni fa, pace con giustizia sociale, benché ora siano cambiati i mezzi per tentare di raggiungerlo: non più le armi, ma i voti.
DI FRONTE ALLA REALTÀ di uno Stato che continua a rappresentare gli interessi di un gruppo minoritario, anziché quelli di tutte le classi e specialmente della grande maggioranza di diseredati, proponiamo alla Colombia di mettere fine a questa amara realtà», ha dichiarato lo storico leader delle Farc Rodrigo Londoño «Timochenko» durante la manifestazione d’esordio del nuovo soggetto politico, a Bogotà, in una Piazza Bolivar strapiena di gente. La dirigenza e la base delle Farc riunite nel cuore del potere colombiano, insieme a indigeni, studenti, professori, lavoratori, giornalisti, semplici cittadini, membri del Congresso, rappresentanti delle Nazioni Unite: chi avrebbe mai potuto immaginarlo fino a poco tempo fa? Eppure l’impensabile è accaduto, venendo così ad alimentare la speranza che l’accordo di pace possa realmente imprimere una svolta alla storia della Colombia, mentre, nel frattempo, proseguono – a conferma di quanto siano ancora attive le forze che hanno scatenato il conflitto – gli assassinii di leader contadini, militanti sociali, difensori dei diritti umani ed ex combattenti o loro familiari (già 24 durante i primi sei mesi del 2017).
IN QUESTO QUADRO, la visita del papa servirà proprio come una spinta di incoraggiamento a un processo che, dopo oltre 50 anni di combattimenti, richiederà più di qualche mese o di qualche anno. Un processo che, come ha spiegato il cardinale Rubén Salazar, dovrà essere costruito «tutti i giorni, sulla base della solidarietà, della giustizia e dell’uguaglianza».