il manifesto 5.9.17
Il pane o la guerra
Storie. Agosto
1917, mentre «il Piave è il cimitero della gioventù» a Torino è rivolta,
con le operaie in prima fila al canto di «Prendi il fucile buttalo per
terra». Barricate ovunque, insorti armati: 41 morti, duecento feriti,
centinaia di arresti
di Claudio Canal
«Vidi
sbucare i cavalli lanciati al galoppo, i soldati con la sciabola
sguainata nella destra in una selvaggia carica: non persi un attimo, con
un gesto rapido mi aprii la camicia mostrando il petto nudo. Non vedevo
più nulla. Poi con la coda dell’occhio vidi una specie di ombra che
traversava la via venendomi vicino: era una ragazza molto giovane, si
era liberata della sua camicetta mettendo poi il suo seno a nudo con lo
stesso gesto che avevo fatto io, ma con più grazia, con più semplicità.
Un urlo formidabile scoppiò dalla folla della barricata, dalle finestre
aperte vennero incitamenti perché la cavalleria si fermasse. “Viva la
pace, abbasso la guerra”. I soldati sbalorditi da tanto ardimento si
fermarono ad un metro dai nostri petti nudi. Il silenzio era diventato
ad un tratto sepolcrale, poi l’ufficiale dette ordine al suo squadrone
di fare dietro fronte».
NON È LA SCENA di un film in bianco e nero
con Amedeo Nazzari, Alida Valli e cavalli scalpitanti. È la cronaca
scritta da un ventenne militante socialista, tra i protagonisti
dell’insurrezione dell’agosto 1917 a Torino, nel pieno della guerra: «Le
cinque giornate del proletariato torinese» le definisce Antonio Gramsci
su Il Grido del Popolo, che però griderà solo nelle cantine della
questura, perché il settimanale è subito sequestrato. «I carri blindati
entravano in azione specialmente nel tratto del corso che va da Porta
Palazzo a corso Principe Oddone. Improvvisamente un nugolo di donne
sbucarono dai portoni di tutte le case, ruppero i cordoni e tagliarono
la strada ai carri blindati. Questi si fermarono un momento. Ma l’ordine
era di andare a ogni costo, azionando anche le mitragliatrici. I carri
si misero in moto; allora le donne si slanciarono, disarmate,
all’assalto, si aggrapparono alle pesanti ruote, tentarono di
arrampicarsi sulle mitragliatrici, supplicando i soldati di buttare le
armi. I soldati non spararono, i loro volti erano rigati di sudore e di
lacrime. Le tanks avanzavano lentamente. Le donne non le abbandonavano.
Le tanks alfine dovettero arrestarsi».
NOI SAPPIAMO nome, cognome e
fattezze dell’allora sindaco di Torino, dell’arcivescovo della città,
del questore, del prefetto, del ministro degli interni, di tutte le
gerarchie e gerarchiette immaginabili. Conosciamo il nome di Antonio
Gramsci e di altri dirigenti del Partito Socialista. Non sappiamo
niente, né nome né volto delle donne che si arrampicano sui blindati, ci
è del tutto ignota la ragazza che indossa il suo corpo come uno scudo
nudo contro l’oscena carica dei soldati. Minerva e Marianna, in un gesto
solo.
«IL MEDICO CAPO di questo Municipio mi riferisce che i
chaffeurs delle automobili per il trasporto dei feriti si rifiutano di
eseguire il servizio e di intervenire sulle piazze e sulle vie, perché
sono fatti segno egualmente agli spari dei soldati quantunque le
automobili portino ben visibile il segno della Croce Rossa. Rivolgo viva
preghiera all’Eccellenza Vostra affinché, nell’interesse generale,
voglia compiacersi di impartire opportuni ordini, per evitare l’indicato
gravissimo inconveniente» supplica con il cappello in mano il Sindaco
di Torino, Leopoldo Usseglio, rivolgendosi al comandante della piazza,
generale Galeazzo Sartirana. Generale di un Regio Esercito che spara
sulla Croce Rossa.
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È L’ALTRA guerra. Una
guerra che non sta nel fango delle trincee, negli assalti alla
baionetta, sui picchi dolomitici, non c’è …Terzo Alpini sulla via il
Monte Nero a conquistar. Sta in un’altra musica: prendi il fucile e
gettalo giù per terra, vogliam la pace e non vogliam più la guerra
cantano le donne a squarciagola. Qualche volta viene cantata anche al
fronte ed è subito plotone d’esecuzione.
NON ERA SGORGATO
all’improvviso questo canto. Era da più di un anno che la città e la
provincia erano in fermento. Scioperi massicci si susseguivano in tutti i
comparti industriali. Manodopera soprattutto femminile. Contro il
carovita, contro gli accaparramenti, contro la mancanza del pane. Il
pane. Per procacciarselo devono fare interminabili code all’alba, prima
di entrare in fabbrica. «Per il pane» diventa poco alla volta anche
«contro la guerra», per il ritorno a casa di figli, mariti e padri. La
tradotta che parte da Torino, a Milano non si ferma più, ma la va
diretta al Piave, cimitero della gioventù.
E I QUARTIERI OPERAI in
quella manciata di giorni a fine agosto del ’17 esplodono in una
sommossa, moto, tumulto, rivolta, insurrezione. Chiamala come ti pare. I
pochissimi storici che l’hanno studiata si sono sbizzarriti in
catalogazioni a presa rapida. I viali con gli alberi abbattuti per
costruire barricate, le mitragliatrici e i mortai issati sopra, i
collegamenti tra insorti in bicicletta, di cui il generale Sartirana
vieterà prontamente la circolazione, i quarantuno morti accertati, i
duecento feriti, le centinaia di arresti e successive condanne, dicono
qualcosa della natura politica eversiva di quei giorni, del binomio non
solo novecentesco di guerra e sfruttamento e della sua centralità. Parla
chiaro anche lo smarrimento e, troppo spesso, la latitanza dei
sindacalisti e dei dirigenti socialisti.
«ADDIO TABARIN» va ancora
forte nelle sale da ballo non solo torinesi, anche se non è chiaro per
chi sia stata belle quell’epoque. È invece palpabile che il tuorlo delle
esistenze è entrato in fase frullamento.
CAPORETTO è alle porte, a
Pietrogrado il Palazzo d’Inverno sta per cambiare inquilini, un signore
inglese di nome Balfour è sul punto di fare una dichiarazione destinata
a sconvolgere i connotati al Vicino Oriente e dintorni, da pochi giorni
gli alti comandi francesi hanno messo a tacere tramite fucilazioni di
massa i soldati che si rifiutavano spudoratamente di tornare nella
macelleria delle trincee e, grandezza della microstoria globale, in una
caserma del Texas, nei medesimi giorni di Torino, una rivolta
antirazzista di soldati afroamericani in partenza per il fronte europeo
viene sedata solo con la corte marziale.