il manifesto 2.9.17
«Numero chiuso da abolire ovunque», la sfida dell’Udu
Intervista.
L’avvocato Bonetti che ha vinto il ricorso contro la Statale di Milano:
«L’università torni aperta, così crea solo una elite impreparata. Il
ricorso del rettore al Consiglio di Stato è basato su una balla
giuridica: il Tar ha sospeso l’intera normativa. Va cambiata la legge
264 del 1999 e il decreto accreditamenti»
di Massimo Franchi
«Il
diritto allo studio e l’accesso all’università sono l’ultimo motore per
risollevare il Paese. È il numero chiuso che ha impoverito i nostri
atenei producendo la precarietà e la disoccupazione dei laureati, non
viceversa: dobbiamo tornare ad essere un modello di apertura come siamo
storicamente cambiando la legge 264 del 1999 all’origine di tutto. Che
un ministro possa decidere se le università sono o meno a numero chiuso è
per noi un pericolo per la democrazia. Per noi va annullato il numero
chiuso in tutti i corsi». La battaglia della Statale di Milano – dopo la
sentenza del Tar di giovedì che ha cancellato i test di ingresso per i
corsi a numero programmato nelle discipline umanistiche, ieri il rettore
Vago ha annunciato ricorso – vede come protagonista Michele Bonetti, da
anni avvocato dell’Unione degli universitari.
Avvocato Bonetti,
partiamo dall’attualità. Il rettore della Statale di Milano Gianluca
Vago annuncia ricorso d’urgenza al Consiglio di Stato sostenendo che «da
una parte il Tar dice di prendere tutti gli studenti ma dall’altra,
secondo la normativa 240 sull’accreditamento, dovrei assumere docenti
per far partire i corsi» motivo stesso della delibera per cui ha deciso i
test d’ingresso: la carenza di docenti.
Michele Bonetti, avvocato dell'Udu
Sbaglia
e racconta una balla giuridica. Il giudizio del Tar che permetterà a
mille studenti della Statale di non fare il test d’ingresso costoso e
con speculazioni private – vogliamo un chiarimento formale su questo
punto: l’università deve risarcire immediatamente queste somme – è
espresso in maniera inequivocabile: il decreto sull’accreditamento
presentato dalla Giannini nel suo ultimo giorno da ministro e poi
firmato dalla Fedeli è sospeso. In più la legge prevedeva già una deroga
annuale per far partire i corsi anche senza rispettare i criteri sul
rapporto studenti-docenti: sono stati impugnati anche i decreti
ministeriali seguiti alla legge 240».
Lei e l’Udu però avete altri
ricorsi pendenti in altri atenei. Si può sperare che si arrivi ad un
giudizio di costituzionalità della legge?
I giudizi sono in fieri a
l’Aquila, a Catania e a Firenze e coinvolgono circa 50mila studenti
matricole, compresi i 18enni che si sono spostati verso atenei che non
prevedono i test di ingresso. Nel ricorso sulla delibera del Senato
accademico della Statale avevo espresso come subordinata la richiesta
che in caso di mancato accoglimento il Tar di Roma promuovessero un
giudizio di costituzionalità. Non escludo che lo faccia in futuro. Noi
abbiamo sempre cercato di evitare i ricorsi facendo un’azione preventiva
ma i rettori non ci hanno ascoltato. Speriamo lo facciano ora (l’Udu
ieri ha chiesto al rettore il ritiro del ricorso e ha chiesto al
ministro Fedeli di aprire un tavolo tecnico, ndr).
I ricorsi riguardano le facoltà umanistiche ma lei e l’Udu criticate l’intero modello universitario attuale.
Sì,
se il numero chiuso o programmato può avere un senso per medicina, per
le altre facoltà sta provocando danni incalcolabili. Così come il
sistema di accreditamento: i finanziamenti del ministero agli atenei
sono basati sul numero dei laureati in corso e così i docenti sono
portati a garantire questi standard a scapito totale della preparazione:
la selezione in itinere è assente così come gli abbandoni. In questo
modo abbiamo un imbuto chiuso in entrata e una elite impreparata in
uscita. Non vorrei che si sottovalutasse come ormai per una famiglia
anche non ricca costi di meno mandare il proprio figlio a studiare
medicina od odontoiatria in Romania e Bulgaria rispetto a Parma o Pavia.
E nel frattempo i posti riservati per legge agli studenti
extracomunitari rimangono sempre vuoti perché non siamo più attrattivi e
perdiamo cervelli prima che si formino.
È ancora possibile cambiare le cose? Qual è la vostra ricetta per rilanciare l’università in Italia?
La
legge 264 del 1999 è stata accettata anche dai governi di
centrosinistra senza battere ciglio: per questo siamo arrivati alla
decisione della Statale e di altri atenei di introdurre i test di
ingresso perfino nelle facoltà umanistiche. Anche il M5s pare essere per
il numero programmato nella sua versione francese. Io invece penso che
abbiamo bisogno di una università la più aperta possibile su cui
investire fortemente per alzare il numero di laureati che in Italia è
ormai bassissimo costruendo poli che creino anche indotti economici.
Bisogna rivoltare l’idea che nelle università ci siano posti solo per
chi troverà lavoro: alziamo il livello di istruzione in modo forte e
inventeremo anche nuove professioni e tanti brevetti, cambiando il mondo
del lavoro e tutta la società.