il manifesto 26.9.17
AfD, dopo il botto la prima spaccatura. Lascia la «moderata» Frauke Petry
Xenofobi in parlamento. Contro «la linea di estrema destra», l’ex leader del partito populista cambia gruppo parlamentare
di Guido Caldiron
Quasi
6 milioni di voti, pari al 12,6%, e ben 94 eletti. Numeri che ne fanno
il terzo partito del paese alle spalle dell’unione tra Cdu/Csu e della
Spd. A soli quattro anni dalla sua fondazione, l’Alternative für
Deutschland non ha solo fatto un rumoroso ingresso nel Bundestag, ma ha
segnalato con il proprio risultato quali umori traversino una parte
importante della società tedesca. Un’affermazione offuscata solo in
parte dall’annuncio della rottura definitiva con l’ex leader, Frauke
Petry, già sconfitta ad aprile nel congresso di Colonia dall’ala più
oltranzista del partito, che ha annunciato che non farà parte del nuovo
gruppo parlamentare perché in disaccordo con «la linea di estrema
destra» scelta dall’attuale gruppo dirigente.
UNA PROPOSTA
POLITICA, fondata su un mix di nazionalismo e xenofobia, di critica al
sistema dei partiti e di appello al popolo e all’identità tedesca, che
ha però convinto un gran numero di tedeschi provenienti da ambienti
diversi, settori sociali spesso agli antipodi, uniti dalla
radicalizzazione e dal rifiuto delle forme tradizionali della
rappresentanza. Al punto che l’AfD ha realizzato il proprio exploit
grazie a un travaso sistematico di voti provenienti da gran parte delle
altre forze politiche del paese.
Se la fetta più consistente, 1,2
milioni, arriva da elettori che in precedenza si erano astenuti, a ruota
ci sono il milione di voti già andati al partito di Merkel e ai suoi
alleati bavaresi della Csu, i 470 mila provenienti dal bacino elettorale
della Spd e gli oltre 400 mila della Linke, oltre ai 50mila che si
stima provengano rispettivamente da Liberali e Verdi.
Lo stesso si
può dire della disposizione geografica dei consensi. In tutte le
regioni della ex Germania Est, dove è nata ed è già radicata, la
formazione xenofoba è diventata la seconda forza politica locale dopo la
Cdu, con percentuali intorno al 21%, mentre in Sassonia, dove oltre al
difficile confronto con l’ovest pesano anche le divisioni sociali
introdotte dallo sviluppo della cosiddetta Silicon valley locale,
specializzata in micro-elettronica, ha addirittura superato i
democristiani raccogliendo il 27% dei consensi e diventando così il
primo partito. Allo stesso modo però, anche in Baviera, al contrario una
delle aree più prospere del paese con un tasso di disoccupazione sotto
il 3%, la nuova destra ha raccolto ben il 12,%, mentre il partito-Stato
della Csu ha perso d’un colpo oltre 10 punti percentuali. La riprova che
l’AfD parla a un pubblico eterogeneo e cerca di intercettare ed offrire
ascolto ad ogni sorta di malessere.
LA CAMPAGNA-SHOCK condotta
dal ticket per la Cancelleria formato da Alexander Gauland, un avvocato
76enne ex esponente dell’ala più conservatrice della Cdu, partito che ha
lasciato in polemica con la linea «moderata» di Merkel e da Alice
Weidel, economista 38enne, passata per colossi finanziari come Goldman
Sachs, Bank of China e il gruppo Allianz, che vive con una produttrice
cinematografica originaria dello Sri Lanka e i loro due figli adottivi,
aveva del resto già illustrato la strategia dell’AfD. Estremista e
inquietante, ma articolata. Gauland ha strizzato l’occhio a nostalgici e
neonazisti, dicendo che i tedeschi devono «essere fieri dei risultati
dei nostri soldati durante la Seconda guerra mondiale», mentre Weidel ha
fatto appello al nuovo razzismo montante e agli sconfitti della
globalizzazione parlando di coloro «le cui vite sono decise da altri»,
ma soprattutto guidando la campagna anti-Islam del partito, scandita da
manifesti con donne in bikini «per dire no al burka», a colpi di
dichiarazioni su gay e donne che sarebbero minacciati dalla presenza dei
musulmani nel paese.
In sostanza, il mescolarsi di correnti
identitarie e estremiste, che lambiscono anche gli ambienti del
neonazismo, alla linea nazional-liberale, anti Ue e anti euro, che
caratterizzava l’AfD al momento della sua fondazione, come ha ricordato
la giornalista dello Spiegel Melanie Amann nel suo Angst für Deutschland
(Paura per la Germania), uscito proprio alla vigilia di queste
drammatiche elezioni.