venerdì 1 settembre 2017

il manifesto 1.9.17
Renzi tenta il ritorno
In tv e poi nelle piazze. Il segretario del Pd apre la lunga campagna elettorale spiegando che la legge elettorale non si potrà cambiare e che i meriti del governo Gentiloni sono i suoi
di Andrea Fabozzi


Veloce nell’auto elogio su facebook, pubblicato appena mezz’ora dopo l’uscita dei dati Istat sull’occupazione, Matteo Renzi è altrettanto rapido nel replicare a un suo sostenitore che gli fa i complimenti usando il passato prossimo. «Hai avuto il coraggio di provare, di fare. Una parte di noi italiani ha apprezzato tantissimo», gli scrive Emilio Martino. E lui immediatamente risponde, chiarendo: «Grazie, ma siamo solo all’inizio».
L’inizio di una nuova scalata a palazzo Chigi, l’inizio intanto dell’«operazione ritorno». Primo passaggio in tv l’intervista ieri sera al Tg1, primo appuntamento pubblico domattina a Bologna (e a seguire altri cinque comizi in altre cinque feste dell’Unità, in due giorni). Il calendario delle rilevazioni Istat offre un contributo, il resto lo fa la fantasia nelle interpretazioni. «Il dato più interessante – scrive Renzi – è che da febbraio 2014, inizio dei #MilleGiorni, a oggi sono stati creati 918mila posti di lavoro». E a sera al Tg1 dice: «C’è chi il milione di posti di lavoro lo promette in campagna elettorale, e chi lo realizza. Ma per realizzarlo serviva il Jobs act». Il conteggio è singolare: se il merito è del Jobs act, il calcolo andrebbe fatto dalla metà del 2015, cioè da quando sono entrati in vigore i decreti delegati delle riforma.
Ma a Renzi interessa esaltare tutta la sua avventura, a partire dall’inizio. E senza limiti, perché una novità che si comincia ad apprezzare nel discorso del «ritorno», soprattutto nell’intervista al Tg1, è che il segretario vuole intestarsi (quelli che considera) i successi del governo Gentiloni. Ha letto bene i sondaggi, ha visto gli indici di gradimento del presidente del Consiglio e del ministro degli interni. Del quale non dirà più che ha «le vertigini», adesso per Minniti ha solo elogi: «I fatti sono semplici, gli sbarchi stanno finalmente diminuendo e questo è un passo in avanti importantissimo. Aiutarli veramente a casa loro è possibile, però bisogna chiedere una mano all’Europa».
«Aiutarli a casa loro», lo slogan salviniano che Renzi ha ripreso nel suo libro, era stato disconosciuto dal Pd di fronte alle polemiche e alle accuse di voler copiare la Lega. Adesso è tornato. E sono tornati gli elogi al ministro Delrio, campione dell’approccio soft, e al premier Gentiloni, incarnazione del basso profilo. Tant’è che anche nel commento ai dati Istat il presidente del Consiglio in carica aggiunge quella prudenza che all’ex premier manca del tutto. «Effetti positivi da Jobs act e ripresa, ma ancora molto da fare contro disoccupazione» twitta da palazzo Chigi, riconoscendo anche qualche merito alla congiuntura. Assai più in sintonia con questo realismo è l’auspicio – «speriamo» – che il presidente della Repubblica si lascia sfuggire durante la visita alla Biennale arte di Venezia. Assieme alla constatazione che «arrivano da più versanti segnali confortanti».
A Sergio Mattarella si richiama doverosamente Renzi quando il Tg1 gli chiede se dopo la legge di bilancio la legislatura dovrà considerarsi chiusa. Il segretario pensa proprio di sì, perché questa è l’unica condizione per andare alle elezioni tra fine febbraio e inizio marzo e non due mesi dopo. Ma correttamente ricorda che «i tempi li decide il presidente della Repubblica». Poi però sparge scetticismo sulla riforma della legge elettorale. «Noi come Pd siamo disponibili – dice – quante proposte abbiamo fatto. La mia impressione è che gli altri non abbiano interesse ad andare fino in fondo». Non è proprio così, visto che gli interessati a modificare la legge non mancano, solo che spingono tutti in direzioni diverse. In definitiva è ancora il segretario del Pd quello che ha più interesse a tenere ferme le attuali e diverse leggi per camera e senato, frutto di due sentenze della Corte costituzionale. Perché così può sperare di costringere al listone, alla camera, eventuali alleati di sinistra (Pisapia) e destra (Casini), per sognare il premio di maggioranza, e imbastire invece una coalizione al senato con Alfano, per consentirgli di superare la soglia di sbarramento.
Un piano del genere non tiene conto dei ripetuti appelli di Mattarella all’«armonizzazione» delle leggi elettorali di camera e senato. Renzi riconosce al capo dello stato la regia dei «tempi», ma quando fa l’elenco delle cose da fare in autunno cita l’«edilizia scolastica» e «i soldi per i non autosufficienti e anziani». Cose, dice, «concrete». Di legge elettorale non parla, e nemmeno di Ius soli.