sabato 16 settembre 2017

il manifesto 16.9.17
La rivincita renziana punta tutto sulle banche
Commissione d'inchiesta & Bankitalia. Rebus presidente, certezza flop Mentre l’inviso Visco va verso la riconferma
Una protesta dei risparmiatori beffati dalle crisi bancarie
di Massimo Franchi

La vendetta renziana e del Pd per lo scandalo Consip dovrebbe partire, oltre che dall’interrogazione parlamentare contro il capitano Ultimo, dalla Commissione bicamerale d’inchiesta sulle banche. Evocata da Renzi e Orfini con espressioni sbracate («Ci divertiremo») per spiegare che il Pd non ha nulla da nascondere, che il papà di Maria Elena Boschi – Pier Luigi, multato da Consob di 40mila euro per la liquidazione da 700 mila euro concessa al direttore generale dell’istituto bancario aretino, ma verso l’archiviazione nel procedimento penale – non c’entra niente con gli scandali di questi anni.
La partita è legata a doppio filo con un’altra, se possibile ancora più vicina ed importante: la conferma del governatore Ignazio Visco a Bankitalia. Sarà Gentiloni a dover decidere entro ottobre. Gli attacchi neanche troppo impliciti di Renzi sulle pecche della Vigilanza di Palazzo Koch corredati dalle inchieste giudiziarie – rese pubbliche da Il Fatto dando vita ad una strana alleanza – avevano fatto mettere in forse la riconferma.
La loquacità di Visco – ieri ha bacchettato perfino chi parla di educazione finanziaria: «Non basta, vanno puniti gli illeciti» – e i boatos dai palazzi del potere – primo fra tutti il Quirinale – portavano ieri a considerare la riconferma assai probabile. Anche per mancanza di sostituti all’altezza: i renziani avrebbero avanzato la candidatura dell’economista Marco Fortis, distintosi in questi ultimi mesi per essere un vero e proprio ultrà del Jobs act, ma senza il curriculum per prendere il posto che fu di Ciampi e Draghi, solo per restare agli ultimi 30 anni. Mentre le candidature interne – Fabio Panetta o Salvatore Rossi – peccano nell’aver condiviso con Visco le mancanze della vigilanza mentre le popolari fallivano e i risparmiatori pagavano.
L’attenzione quindi si sposta sulla Commissione bicamerale d’inchiesta: 40 componenti, equamente suddivisi fra Camera e Senato. Dopo mesi di melina il Pd ha finalmente annunciato i nomi dei componenti: i renziani e i lealisti del capo la fanno da padrone. Dallo stesso presidente Orfini al fido tesoriere Bonifazi, la pattuglia è agguerrita e pronta a tener fede alla linea. In più ci sono Andrea Marcucci, Vazio, Dal Moro, Sanga, Taranto, l’ex ministro Stefania Giannini, Del Barba, Marino e Mirabelli; a cui si aggiungono solo quattro esponenti della minoranza interna, scelti fra l’altro fra i più moderati: Cenni, il professor Carlo Dell’Aringa, Fabbri e Sangalli.
Una volta nominati tutti i componenti dai presidenti di ogni ramo del Parlamento, la commissione sarà convocata entro 10 giorni per eleggere i vertici. E qui arriva il problema più grosso: chi sarà il presidente? Il Pd punterebbe ad una figura di spessore ma gli unici nomi passabili sono Pier Ferdinando Casini (Ap) – che però sarebbe indeciso perché contrario allo stesso strumento delle commissioni d’inchiesta – o l’ex viceministro all’Economia Enrico Zanetti (Sc-Ala), sceso dallo scranno governativo di via XX Settembre per le polemiche scaturite proprio sulla questione banche nel passaggio da Renzi a Gentiloni.
L’impressione è che il rebus rimarrà irrisolto fino alla prima convocazione. Ma la vera domanda riguarda i tempi: in una legislatura quasi a scadenza cosa potrà scoprire la commissione? «Niente», aveva risposto mesi fa Bruno Tabacci, uno dei massimi esperti della materia. E continuava: «Sono sicuro che verrà utilizzata in modo strumentale: ognuno butterà in faccia all’avversario il peggio rinfacciandogli la banca vicina. Per questo la vuole Renzi, per farci campagna elettorale. Insomma, un gran casino che non stabilirà nessuna responsabilità, specie se il presidente non sarà una persona equilibrata». Parole sempre più attuali.