il manifesto 16.9.17
Manconi, il «centrosinistra» e un ostacolo insormontabile
Alleanze. L’Italia così com’è oggi è in larga parte opera del Pd
Oggi il Pd fa politiche di destra: sui migranti, i poveri, i marginali. Come ha detto Lerner, ora è questione di diritti umani
di Tomaso Montanari
Ho
una profonda stima per la persona e il lavoro di Luigi Manconi. Nel suo
bellissimo Corpo e anima. Se vi viene voglia di fare politica egli
scrive: «Tra le molte contraddizioni della mia azione politica, una
appare forse come più stridente. Ovvero che faccio quello che faccio e
penso quello che penso, pur rimanendo nel Pd … Per ora penso che vi sia
ancora spazio per condurre conflitti interni e per utilizzare
proficuamente la forza, le risorse e la platea di un “partito largo”».
«Per ora», scriveva Manconi in un libro uscito nel marzo 2016.
Un
anno e mezzo dopo, dopo la repressione securitaria attuata da Marco
Minniti, perfino Gad Lerner, per Manconi una sorta di «fratello minore»
ha infine restituito la tessera del Pd, scrivendo che «l’involuzione
della politica del Pd sui diritti umani e di cittadinanza costituisce
per me un ostacolo non più sormontabile».
Una decisione
soffertissima, a giudicare dal fatto che solo poche settimane prima lo
stesso Lerner aveva proposto ad Andrea Orlando un doppio tesseramento
Pd-Campo Progressista.
Per Manconi questo ostacolo è, evidentemente, ancora sormontabile.
Non
gli sono certo meno grato per le sue solitarie, cruciali battaglie, ma
non riesco a capire come una scelta personalissima, provvisoria e
sofferta come questa (una scelta che divide anche chi ha percorso
insieme una vita intera) possa trasformarsi in un programma politico su
cui chiedere il consenso di milioni di cittadini. Già, perché Campo
Progressista è nato proprio con questo fine: andare al governo con il
Pd, nella speranza di condizionarlo un po’. È questo l’unico significato
possibile della formula taumaturgica del «centrosinistra»: perché senza
Pd non esiste centro cui connettersi. E, d’altra parte, Giuliano
Pisapia continua onestamente a dirlo, nonostante le aspirazioni e le
dichiarazioni contrarie dei suoi compagni di viaggio.
Ebbene: come
molti altri, credo che questo progetto appartenga al passato. Non dico
che non mi impegnerei per qualcosa del genere: ma nemmeno lo voterei.
Perché
il Pd ha avuto un ruolo decisivo nella costruzione dello stato delle
cose: l’Italia così com’è è in larga parte opera sua. Oggi il Pd fa,
platealmente, politiche di destra: sui migranti, i poveri, i marginali
fa perfino politiche di destra non democratica. Come ha detto Lerner,
ora è questione di diritti umani.
Il Pd ha rieletto Renzi
trionfalmente, e l’opposizione interna è politicamente irrilevante. I
flussi elettorali del 4 dicembre scorso dimostrano che l’85 % di chi
vota Pd ha scelto il Sì. Non una colpa, ovviamente, ma il segno
chiarissimo di una mutazione politica e culturale: la resa allo stato
delle cose. L’abbandono dell’idea stessa di conflitto sociale.
Ora,
è possibile che se continuerà a votare solo il 50% degli italiani – o
se, come tutto lascia intendere, l’affluenza diminuirà ancora – una
sinistra radicale alternativa al Pd (prima, durante e dopo il voto)
abbia poco spazio.
Ma se questa sinistra fosse capace di essere
unita, e soprattutto si impegnasse a costruire un progetto credibile di
Paese giusto, inclusivo ed eguale: allora un’altra parte degli italiani
tornerebbe a votare e a votarla, riaprendo un conflitto, e dunque
spalancando un finestra sul futuro. E il cinico tavolo dei commentatori
salterebbe in un minuto. Non è un’utopia: è successo il 4 dicembre.
Il
percorso partito dal Brancaccio si sta snodando per le cento città di
Italia, e presto potrà proporre un progetto di Paese: per capire cosa
intendiamo dire quando diciamo «invertire la rotta». Alle assemblee
partecipano compagni di SI, Possibile, Rifondazione ma anche di Mdp,
oltre a quelli che si erano impegnati in molti dei progetti falliti e a
tanti cittadini politicamente apolidi (tra cui cattolici che pensano che
il Vangelo indichi una strada radicale e non «centrista» nel senso di
«moderata»).
Ciò che accomuna tutte le persone che partecipano a
questo percorso è la volontà di costruire tutti insieme una lista unica,
attraverso un vero processo di partecipazione popolare: senza
primogeniture; senza leader designati in anticipo; con il chiaro impegno
di essere alternativi al Pd prima, durante e dopo il voto.
Non è
un obiettivo impossibile, ma ogni giorno consumato in incomprensibili
riunioni politiciste è un giorno sottratto alla costruzione di una
sinistra di popolo capace di parlare all’altra metà degli italiani. Una
sinistra che (come in altri paesi d’Europa) può diventare capace di
vincere: se vincere significa saper cambiare la realtà, e non farsene
cambiare.
* presidente di Libertà e Giustizia