il manifesto 15.9.17
16-18 settembre, per non dimenticare Sabra e Shatila
Israele-Palestina.
Quel massacro, più di tanti altri, fu odioso, realizzato con lo
stratagemma di lasciar partire il contingente internazionale e di aver
imposto l’esilio dei fedayin, i giovani combattenti guidata da Arafat,
verso la Tunisia
di Stefania Limiti
Mentre a Roma
si litiga per la targa intestata alla grande figura di Yasser Arafat,
in Libano oltre 500 mila profughi palestinesi, nei loro poveri campi,
ospitano i rifugiati di altre guerre e di altre occupazioni militari.
È
il paradigma tragico, diremmo grottesco, di un popolo dimenticato, che
si ostina, tuttavia, contro forze enormi, a vivere e a rivendicare la
propria appartenenza nazionale. Inascoltati, dimenticati, sempre
scacciati: anche dalla toponomastica. Il vice sindaco di Roma Luca
Bergamo, che ha avuto la delega dalla sindaca Raggi a gestire la spinosa
(pazzesco!) faccenda della targa, riferisce che l’attuazione delle
delibera (la n. 165 del 28 luglio, prevede che sia intitolato un parco
ad Yasser Arafat, nella zona di Centocelle, e una piazza al Rabbino Capo
Emerito Elio Toaff a Colle Oppio) è ferma e rimandata a data da
destinarsi. Non si farà.
Nonostante la richiesta di una ventina di
associazioni e l’opportunità di aprire un dibattito pubblico destinato,
invece, a morire qui. Troppe le pressioni della comunità ebraica per
impedirlo, troppo forti per essere respinte dalla giunta Raggi. Piccole
meschinità accanto a una grande tragedia dall’altra. Per capire la
questione palestinese è molto importante andare in Libano e conoscere la
realtà di quel pezzo di umanità scacciata dalle proprie case nel 1947 e
poi venti anni dopo.
Uomini e donne che non sono tornati indietro
e che non possono guardare il futuro perché non hanno patria, cittadini
di serie b in un paese ospitante. Il Comitato Per non dimenticare Sabra
e Chatila, da quando è stato fondato nel 2001 da Stefano Chiarini e
grazie all’impegno de il manifesto e del giornale indipendente libanese
As Safyr, fa proprio questo: si reca lì ogni anno, in occasione
dell’anniversario del massacro di Sabra e Chatila, due poverissimi campi
profughi alla periferie di Beirut, dove i macellai falangisti sotto la
regia dell’occupante israeliano e le direttive del falco Ariel Sharon
fecero scempio dei corpi di duemila persone.
Un orrore che si
consumò dal 16 al 18 settembre del 1982 e che svegliò l’umanità
dormiente: i palestinesi ancora massacrati! Anche la sinistra italiana,
affascinata dal mito dei kibbutz e dalle esperienze ‘socialisteggianti’
del neo-stato di Israele, dovette guardare in faccia la realtà
dell’occupazione militare e dei suoi crimini.
Quel massacro, più
di tanti altri, fu odioso, realizzato con lo stratagemma di lasciar
partire il contingente internazionale e di aver imposto l’esilio dei
fedayin, i giovani combattenti guidata da Arafat, verso la Tunisia. Fu
fatto per dare una lezione ai palestinesi: non esistete e noi vi
schiacceremo. Ma i palestinesi da allora hanno continuano a lottare:
tanti gli errori, tragiche le loro divisioni ma di certo hanno avuto la
straordinaria forza di rivendicare la loro volontà di essere un popolo e
di non permettere all’ occupante di annientarli.
Si conosce da
vicino tutto questo andando in Libano, visitando i campi, parlando con
le forze politiche sociali, ricordando che il Diritto al ritorno è
sancito dalla Legge internazionale. Anche quest’anno in molti hanno
scelto di andare insieme al Comitato Per Non dimenticare Sabra e Shatila
dal 16 al 23 settembre. Dobbiamo tutto questo all’impegno e alla
intelligenza di Stefano Chiarini e di Maurizio Musolino. Dicono i poeti
che non si muore finché altri ti portano nel cuore: entrambi scomparsi
prematuramente, sono nel nostro cuore e vivono tra noi con la loro
passione per il Medio Oriente e la solidarietà, l’amore, verso il popolo
palestinese.